Si è svolta domenica 7 giugno 2015 la commemorazione dei Partigiani Illido Garzara “Sgancia” e Mario Molon “Ubaldo”, fucilati il 5 giugno 1994 a Chiampo.
L’orazione ufficiale è stata tenuta da Paolo Baruffa. Ne riportiamo qui il testo.
Mi unisco ai saluti del Presidente provinciale Mario Faggion e aggiungo un particolare saluto ai Partigiani presenti fisicamente o con il pensiero.
Oggi commemoriamo – cioè “ricordiamo insieme” – la morte di due Partigiani:
Illido Garzara “Sgancia”, 20 anni, di Fiesso d’Artico – dove aveva lavorato come apprendista calzolaio prima di raggiungere i monti della Valle del Chiampo con un gruppo di compagni della Riviera del Brenta, per poi unirsi alla Brigata Vicenza.
Mario Molon “Ubaldo”, 25 anni, di Rovegliana – Recoaro. Era commesso in un negozio di stoffe prima di aderire al movimento partigiano e fu uno dei primi perché partecipò al gruppo di Malga Campetto, quello che diede origine alla brigata garibaldina Garemi.
La morte dei due Partigiani fu l’esito finale di tre eventi concomitanti, avvenuti in quella giornata di lunedì 5 giugno 1944.
Il primo evento si svolse la mattina, alla stazione di Chiampo: sei Partigiani della Brigata Vicenza (poi divenuta Divisione Pasubio) attaccarono poco prima della partenza un treno che stava per partire, riportando ai reparti una quarantina di militi della GNR. In realtà, l’attacco era stato concordato tra alcuni di questi militi, magari arruolati con meno convinzione, forse obbligati da situazioni contingenti o che probabilmente non volevano compromettere le loro famiglie ma volevano comunque lasciare le formazioni repubblichine. Durante l’attacco veloce scappò un solo milite – mentre gli altri vennero fatti scendere platealmente dal treno (così da non essere considerati disertori), inquadrati prigionieri e condotti via, sui monti. Quasi tutti quei giovani, presto lasciati liberi, non si sono più presentati al corpo e tra essi alcuni entrarono addirittura nelle file delle resistenza armata. Il maresciallo Matteo Scauri che li comandava, venne arrestato dai tedeschi il giorno dopo e poi deportato in Germania.
Il secondo evento fu conseguente al primo. Appena ricevuta notizia di questo attacco, a cui non venne opposta resistenza, i comandi nazifascisti organizzarono un rastrellamento immediato. Alcuni soldati tedeschi, verso mezzogiorno di quel 5 giugno 1944, sorpresero un gruppetto di quattro partigiani di passaggio in località Mistrorighi, diretti verso la base di Durlo. Due di loro, che camminavano una decina di metri distanti dai compagni, riuscirono a buttarsi nella vicina macchia, mentre Illido Garzara “Sgancia” e Lionello Doni “Ceseta” dovettero arrendersi dopo una fitta sparatoria. Catturati, furono condotti a Chiampo e qui consegnati ai fascisti.
Cominciarono così le loro sofferenze: in piazza furono percossi in maniera brutale, presi a pugni, a calci, umiliati con sputi e sottoposti persino a finte fucilazioni contro il muro del municipio. Dopo due ore vennero trascinati nella stazione dei carabinieri e rinchiusi in una cella, ove rimasero per oltre tre ore. A onor del vero bisogna ricordare che i carabinieri della stazione li trattarono con umanità. Verso le cinque di sera i tedeschi ripresero i due partigiani e li portarono al loro comando ad Arzignano. In presenza di un interprete, il comandante tedesco li interrogò per avere informazioni sul movimento partigiano. Le risposte che i due diedero furono volutamente confusionarie nel tentativo di salvare la vita ma senza compromettere la sorte dei compagni. Evidentemente non furono creduti da quell’ufficiale, perché ad ogni risposta sbatteva con violenza il frustino sulla scrivania, alzava la voce e pronunciava frasi incomprensibili ma che suonavano molto minacciose. Dopo mezz’ora di interrogatorio inutile – e tuttavia senza aver usato violenza fisica – li fece rinchiudere in una cella.
Il terzo evento della giornata si svolse nelle stesse ore. Avvertiti da una spia – che in futuro sarebbe diventata tristemente famosa, i fascisti si mossero per intercettare una pattuglia “volante” della Brigata Stella, formazione partigiana che operava nella valle dell’Agno. La pattuglia comandata da Mario Molon “Ubaldo”, si stava spostando da Selva di Trissino verso Montebello e si era accampata in un bosco nei pressi della località Calpeda, tra il Costo e il Castello di Arzignano. Il capopattuglia entrò da solo nella casa di un certo Lovato per chiedere acqua e viveri, ma l’abitazione fu subito circondata da una quindicina di militi fascisti. “Ubaldo” si difese con le armi che possedeva, una pistola e alcune bombe a mano, ma venne catturato con il padrone di casa, Giovanni Lovato, accusato di sostenere i partigiani. Nel bosco vicino, i suoi compagni si allarmarono per gli spari e gli scoppi ed ebbero il tempo di mettersi in salvo. I fascisti presero altri tre uomini che si trovavano lì per caso, incendiarono casa e fienile del Lovato, si sfogarono sugli animali e portarono i prigionieri a Chiampo, gettandoli nella stessa cella dove avevano messo i due Partigiani già catturati dai tedeschi.
Dopo un’ora, il capo dei fascisti fece prelevare Garzara, Molon e Lovato – mentre Doni e gli altri tre uomini furono condotti a Vicenza, imprigionati e avviati in un campo di concentramento in Germania il 27 giugno – da cui torneranno, provati dalle sofferenze, solo dopo la Liberazione.
I partigiani Garzara e Molon, ricondotti a Chiampo insieme a Giovanni Lovato, subirono altre umiliazioni e sofferenze ma riuscirono a non rivelare nulla che mettesse in pericolo amici e compagni. Il cappellano di Chiampo, don Giovanni Brizzi, riuscì a confessarli singolarmente e in maniera privata ed osservò che non potevano essere condannati senza processo. Il capo dei fascisti allora imbastì un processo-farsa, in cui egli fungeva da giudice e da accusatore, e che dopo urla, schiaffi e sevizie si concluse inevitabilmente con la condanna a morte dei tre. Don Brizzi intervenne ancora, ma riuscì ad ottenere la grazia solo per Giovanni Lovato (che poi morì prigioniero nel campo di Buchenwald il 17 febbraio 1945).
Mario Molon “Ubaldo” e Illido Garzara “Sgancia” furono quindi condotti alla Calcara, sotto il campanile di Chiampo, dove furono fucilati alle 21.30 – dichiarandosi orgogliosi di morire da veri patrioti.
Sia “Ubaldo” che “Sgancia” furono giustamente insigniti della medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria.
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Parlare di due “medaglie d’argento al valor militare” significa parlare di due Eroi. E cosa significa essere Eroi ?
Vorrei terminare questo ricordo riflettendo con voi su questo tema, sul concetto di ‘eroismo’, soprattutto perché oggi siamo all’inizio di un trienno di commemorazioni sulla Prima Guerra Mondiale, sulla quale rischiamo di essere retorici soprattutto quando parliamo di Eroi…
Sono Eroi decorati quei Partigiani donne e uomini che si sono sacrificati per salvare gli altri compagni, sia nella battaglia che nella tortura. È Eroe il Regio Carabiniere Salvo D’Acquisto, che si sacrifica per evitare una rappresaglia nazista. Però è eroe decorato anche il carrista o il fante che resiste fino all’ultimo, magari in un territorio in cui gli Italiani erano entrati da invasori.
… E qui nasce la mia perplessità, perchè io non riesco a pensarli tutti allo stesso modo. Certo, parlando “al valor militare” hanno la stesse decorazioni, lo stesso peso. Ma ci deve essere altro, almeno secondo me… Inoltre, l’eroismo deve essere per forza militare?
Una famiglia che ha nascosto per due anni un pilota americano dai nazifascisti, rischiando ogni giorno, non ha forse tenuto un comportamento “eroico”? Gli oltre 600 mila soldati che – pur di non combattere per Hitler e Mussolini – accettarono di passare due anni e mezzo di prigionia in Germania, facendo la fame, trattati da traditori e rischiando la vita ogni momento, non hanno forse avuto una costanza “eroica”? La scelta di un Partigiano di restare in montagna nel durissimo inverno 1944-45, in compagnia di fame e freddo, con l’incubo costante dei rastrellamenti, non è forse una scelta “eroica”? La decisione di un operaio che nella primavera del ’44 sciopera nel Nord Italia e nelle sue fabbriche occupate dai tedeschi, non si può dire forse “eroica”?
Esempi banali forse, eppure ci dicono chiaramente che in tutti i casi l’Eroismo è la scelta di assumere su di sè la responsabilità dell’interesse collettivo – e di farlo senza usare il dominio sugli altri.
E tornando alla Resistenza: se noi ne limitiamo le celebrazioni a commemorazioni militari, svalutiamo l’origine morale della Resistenza – che fu un movimento di coscienze, prima che un movimento politico o militare.
Come possiamo capire – per poi dirlo agli altri, ai giovani, ai ragazzi, che la Resistenza più bella è stata quella di chi ha persuaso e non ha obbligato?
Io non ho una risposta pronta. Ma sono certo che quando capiremo come far capire questo, saremo riusciti a rispettare a pieno la memoria, l’umanità e l’eredità di Sgancia, di Ubaldo e di tutte le Partigiane e Partigiani.
La Resistenza più bella è stata quella di chi ha persuaso e non ha obbligato. Viva la Resistenza!!!
Paolo E. Baruffa