78° Anniversario dell’eccidio di Chiampo

La città di Chiampo

unitamente alle

Associazioni Partigiane di Chiampo, Fiesso D’Artico, Recoaro Terme

e alle

Associazioni Combattentistiche di Chiampo

COMMEMORANO

il 78° anniversario dell’eccidio dei partigiani

ILLIDO GARZARA e MARIO MOLON

Decorati di medaglia d’argento al valor militare

 

Cittadini

siete invitati alla Cerimonia organizzata dalle Associazioni Partigiane d’intesa con il Comune e le associazioni combattentistiche di Chiampo, per rinnovare il ricordo di tanti giovani caduti per un’Italia libera e democratica che hanno combattuto per esercitare il loro diritto all’indipendenza. Questa giornata sarà un’occasione per dimostrare la nostra volontà di preservare libertà democratiche conquistate con il sangue dai partigiani, dai combattenti e dai cittadini nella lotta di liberazione. Ricordiamoci che uomini e donne di tutte le età sono morti allora, per garantirci i diritti democratici dei quali oggi godiamo.

DOMENICA 5 GIUGNO 2022

  • ore 9:15 Raduno in Piazza Garzara e Molon presso il luogo dell’eccidio
  • ore 9:30 Saluto del Sindaco e commemorazione ufficiale tenuta da Giorgio Fin componente del Comitato Provinciale Anpi Vicenza

COMUNE DI CHIAMPO

COMITATO A.N.P.I.

ASSOCIAZIONI COMBATTENTISTICHE DI CHIAMPO

Commemorazione ufficiale

Tutti noi – penso – siamo angosciati per quello che sta succedendo in queste settimane in Italia, in Europa e nel mondo. Bisogna veramente dire che dalla storia, che tutti dicono maestra di vita, abbiamo imparato poco o nulla. Sembra che improvvisamente abbiamo dimenticato quello che ci hanno raccontato i nostri nonni e i nostri genitori sulla follia della guerra e sulle barbarie che vi si compiono. Sembra che commemorazioni come questa di oggi, in cui ricordiamo vittime della guerra, cioè vittime dell’odio, delle sopraffazioni, degli interessi politici ed economici, dei nazionalismi, della sete di potere, delle dittature, non siano servite a niente. Non occorre citare Primo Levi per affermare che chi dimentica il passato è destinato a riviverlo. E purtroppo stiamo rivivendo gli incubi di una guerra in Europa che sembra una di quelle del secolo scorso, se non vi fosse in più la minaccia nucleare.

Ma noi insistiamo, non vogliamo dimenticare il passato, il nostro passato, proprio perché non vogliamo che le atrocità che vi sono state compiute abbiano a ripetersi. Per questo siamo qui anche quest’anno a fare memoria del sacrificio di Mario Molon “Ubaldo”, di Illido Garzara “Sgancia”, ma anche di Giovanni Lovato, del maresciallo dei carabinieri Matteo Sauri e degli altri caduti di Chiampo i cui nomi sono ricordati impressi nella pietra di questo monumento.

Allora ricordiamo quello che è successo qui il 5 giugno 1944, esattamente 78 anni fa. Allora era di lunedì e alla stazione di Chiampo 36 militi della GNR stavano per prendere il treno delle 7.10 per rientrare in caserma dopo una breve licenza. Improvvisamente sei partigiani della brigata Vicenza di Marozin, bloccano la stazione, circondano i militi e li obbligano a seguirli sui monti. Saranno poi liberati, ma quasi tutti si aggregheranno alla brigata e diventeranno partigiani. E’ un affronto per i fascisti e per il loro comandante, il maggiore Mantegazzi, detto Galera, che ordina subito un rastrellamento in tutta la zona, con l’autorizzazione dei tedeschi. E sono proprio i tedeschi che, verso mezzogiorno, intercettano ai Mistrorighi quattro partigiani della brigata di Marozin. Due di essi riescono a fuggire, due invece sono catturati. Sono Illido Garzara “Sgancia”e Lionello Doni “Ceseta” originari di Fiesso d’Artico. Non c’entrano nulla con l’azione del mattino alla stazione, ma vengono consegnati ai fascisti che li maltrattano bestialmente e pubblicamente in piazza a Chiampo prima di incarcerarli ad Arzignano. Verso sera nella loro cella vengono gettate altre cinque persone, una delle quali quasi irriconoscibile per le percosse ricevute. E’ Mario Molon un comandante partigiano della Brigata garibaldina Stella, n.b. “Ubaldo”. Con la sua pattuglia era partito da Selva di Trissino per una missione in pianura e quel pomeriggio, dopo aver sistemato i suoi uomini in un bosco nei pressi della contrada Calpeda di Arzignano, si era recato nella vicina fattoria di Giovanni Lovato per rifornirsi di acqua e viveri. La casa però veniva subito circondata dai fascisti di Mantegazzi, avvisati da una spia. Contro di essi “Ubaldo” ingaggiava una sparatoria dando così modo ai suoi uomini di eclissarsi. Egli però veniva preso e ferocemente maltrattato. Con lui venivano arrestati anche il Lovato, padrone di casa, e altri tre giovani che erano lì ad aiutarlo a sistemare della legna. Non contenti i fascisti avevano razziato gli animali e incendiato la casa e la stalla. Il Mantegazzi, però, non pago di crudeltà e di vendetta, alla sera decide di dare una forte lezione alla popolazione di Chiampo e della Valle. Tra i rinchiusi in quella cella ad Arzignano ne sceglie tre – Molon, Garzara e il Lovato -e li conduce qui, in questo luogo, per fucilarli. Manda il maresciallo dei carabinieri di Chiampo a chiamare il cappellano Don Giovanni Brizzi per i conforti religiosi. Il maggiore insiste perché vuole che la confessione dei condannati sia pubblica, ma don Giovanni si rifiuta e li confessa uno ad uno. Anzi riesce ad ottenere che il Lovato sia risparmiato. Gli altri due, dopo un processo farsa in cui il Mantegazzi funge da accusatore e giudice, alle 21.30 sono posti davanti al plotone d’esecuzione e fucilati. Molon cade fulminato, mentre Garzara, solo ferito, ha ancora il fiato per invocare la pietà del maggiore. Ma costui ordina una seconda scarica che gli spappola il cranio.

Così fu ucciso il partigiano “Sgancia”, Illido Garzara che aveva appena compiuto vent’anni. Era nativo di Fiesso d’Artico, ove aveva lavorato come apprendista calzolaio prima di raggiungere, con un gruppo di compagni della Riviera del Brenta, i monti della Valle del Chiampo e unirsi alla brigata Vicenza di Marozin.

Così fu ucciso “Ubaldo”, Mario Molon di Rovegliana, una frazione di Recoaro. Aveva 25 anni. Era bersagliere ed era reduce dalla Russia dove aveva combattuto per quasi un anno rimanendo anche ferito. Dopo l’8 settembre fu tra i primi partigiani e poi aderì al gruppo di Malga Campetto, quello che diede origine alla brigata garibaldina Garemi.

Sia “Ubaldo” che “Sgancia” furono insigniti, alla memoria, della medaglia d’Argento al Valor Militar.

Ma in seguito ai fatti del 5 giugno 1944, perse la vita anche Giovanni Lovato, il padrone della fattoria. Risparmiato dall’esecuzione fu mandato in Germania nel campo di concentramento di Buchenwald in cui trovò la morte il 17 febbraio 1945. Anche il maresciallo dei Carabinieri di Chiampo Matteo Scauri quello che era andato a chiamare il cappellano, fu poi arrestato e mandato a morire nel campo di sterminio di Mauthausen. Quella mattina era sul treno assaltato dai partigiani. Fu anche lui preso con i militi e avviato verso i monti, ma venne subito rilasciato e rientrò alle sue funzioni. Il giorno dopo, però, fu accusato dai fascisti di collaborare con i partigiani, se non altro per non aver reagito all’assalto. Matteo Scauri, come molti altri carabinieri, era veramente un collaboratore dei partigiani, tanto che egli è ufficialmente annoverato tra i caduti della brigata Stella. Anche gli altri coinvolti nei fatti di quel giorno, il partigiano “Ceseta” e i tre arrestati nella fattoria del Lovato mentre lo aiutavano a sistemare la legna, furono mandati nei campi del Reich, ma ebbero la fortuna di ritornare.

Abbiamo rievocato questi fatti perché è giusto rendere omaggio a questi giovani e al loro sacrificio e perché anche la loro storia ci sia di aiuto e guida nell’affrontare il nostro futuro, che non si prospetta roseo.

Questi martiri furono tessere lucenti di quel monumentale mosaico che fu la Resistenza, la quale non si proponeva solo di abbattere il nazifascismo, ma progettava di costruire un mondo più bello, più giusto, più onesto, un mondo libero e pacifico, fondato cioè su valori nuovi, opposti a quelli del regime fascista. Sono gli stessi valori che noi abbiamo ricevuto in eredità impressi nella Costituzione e che dovrebbero costituire per tutti gli italiani le fondamenta su cui costruire quel mondo sognato da questi martiri, da questi patrioti: questi sì sono veri patrioti.

E noi che siamo venuti dopo, stiamo costruendo questo mondo? Non occorre essere pessimisti per accorgerci che dalla direzione da loro indicata abbiamo abbondantemente deviato.

La prova è che la Costituzione voluta dai nostri padri non è mai stata pienamente realizzata, anzi in più parti e in vari tempi è stata disattesa, quando non osteggiata.

La prova è che la partecipazione alla vita politica e sociale, invece di allargarsi si è sempre più assottigliata e che la democrazia non si è abbastanza evoluta per impedire che fascismo e nazismo si manifestino ancora, con una presenza arrivata ormai ad un livello impressionante. Hanno forme nuove, fascismo e nazismo, meno riconoscibili, ma sempre pericolose, capaci di attirare a sé nuove generazioni di militanti e di insinuarsi persino nelle istituzioni. Ci sono autorità pubbliche a vari livelli che giurano fedeltà alla Costituzione e poi non hanno scrupoli a dichiarare le loro simpatie per il regime fascista, a denigrare la Resistenza e a tentare di riscriverne il ruolo nella storia. Ci sono organizzazioni, gruppi, movimenti e persino partiti che parlano di democrazia illiberale, che strizzano l’occhio ai regimi dittatoriali o autocratici. Qualcuno addirittura additava Putin come uno statista esemplare, da preferire a Mattarella. Noi preferiamo decisamente il nostro presidente, che in occasione del 25 aprile scorso ha esortato tutti a conservare e praticare “i valori che ci sono stati affidati dalla Liberazione e che avvertiamo di dover trasmettere ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai giovani europei perché si scongiuri l’inescusabile atrocità della guerra”.

Già, la guerra! Siamo oggi al 102esimo giorno di guerra in Ucraina causata dalla violenta aggressione imperialista della Russia di Putin. Sui giornali e sui media si stanno versando fiumi di parole a volte anche irrispettose verso chi non vuole mettersi in testa l’elmetto; penso quindi che non occorra aggiungerne altre.

Però davanti a questi martiri, non posso non proporvi una riflessione. Chi, come me, ha avuto l’onore e la fortuna di incontrare e conoscere partigiani e partigiane, può dire che essi, e chi è ancora vivo lo può confermare, definivano la loro lotta come una guerra alla guerra. Lo ha confermato indirettamente anche Mattarella nello stesso discorso, dicendo che a fare la Resistenza fu “un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista”.

La pace quindi è un diritto. Guerra alla guerra!

Questo grido dei partigiani è stato recepito all’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”. Ed è usato il verbo “ripudiare” che non vuol dire solo essere contrario alla guerra, ma vuol dire respingerne anche solo l’idea, non metterla proprio in conto. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Allora siamo ancora con Mattarella e con quanti lanciano un appello alla pace, un appello “a praticare il coraggio di una de-escalation (cioè una diminuzione) della violenza, il coraggio di interrompere le ostilità e di ritirare le forze di invasione”. Ma questo coraggio non si vede: non c’è nessuna de-escalation e non si nota da alcuna parte la volontà di porre fine a questa guerra insensata, sporca e disumana. Anzi, si va all’incontrario: si parla continuamente di armi, di riarmo, di spese militari.

La guerra sta diventando un’orrenda consuetudine. E non è più un tabù parlare persino di guerra nucleare. Ci stanno e ci stiamo abituando all’idea.

Ecco allora cosa ci insegnano i partigiani che sono morti, come quelli che oggi ricordiamo: ci insegnano che bisogna bandire la guerra dalla storia, perché nella guerra

  • ci sono i torturatori e i seviziatori come il Mantegazzi e i suoi sgherri,
  • ci sono le vittime come questi martiri, come i civili, donne, vecchi e bambini che anche in questa valle sono stati sacrificati a decine,
  • ci sono incendi, distruzioni, lutti e rovine.

Questo provoca la guerra, non risolve nulla e lascia strascichi di odio e di rancori per generazioni e generazioni.

Bisogna scegliere la pace e costruire quel mondo di fraternità, di giustizia e di solidarietà che i partigiani sognavano e che noi siamo chiamati a realizzare.

«Si scelga la pace – così invocava papa Francesco il giorno di Pasqua e ammoniva: – Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Pace! Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente».

Ascoltiamo il Papa e il grido dei partigiani: invochiamo anche da qui oggi a gran voce la pace! sia bandita la guerra dall’umanità.

Guerra alla Guerra!

W la pace!

W la Resistenza e onore ai caduti di Chiampo!

Giorgio Fin