Canzoniere Vicentino – “Nostra legge la libertà”

 … Questo CD vuole essere una preziosa antologizzazione di rappresentazioni narrative della Resistenza affidate dalla gente comune al canto … la via di un racconto popolare di cui le indagini sul campo e le rivisitazioni sonore del Canzoniere vicentino hanno consentito il prezioso “salvataggio”

Emilio Franzina

Il Canzoniere Vicentino è un gruppo che si è formato nel 1975 e fin dalla sua nascita (oltre alla proposta, continuata fino al 1979, di canti sociali e politici originali o presi da altri autori) si è occupato del recupero e della riproposta di materiali popolari (canti, filastrocche, balli, storie) della provincia di Vicenza e del Veneto.

Nell’estate del 1975 iniziano le prime registrazioni di canti tradizionali da parte di due componenti (Gianmaria Sberze e Gianni Schiro) del Canzoniere Vicentino, gruppo da poco formatosi (primavera del 1975).  Con l’aiuto di un registratore ad audiocassette si iniziano a raccogliere i primi documenti sonori nei comuni di Arsiero e Posina, dai quali emergono soprattutto canti riferibili alla Grande Guerra, oltre a canti narrativi e di genere vario.

Elenco dei brani

(cliccare sul titolo per visualizzare informazioni sul canto)

Bandiera nera la vogliamo no!
Bandiera nera la vogliamo no!                   
Perché l’è il simbolo della galera,

bandiera nera la vogliamo no!
Perché l’è il simbolo della galera,
bandiera nera la vogliamo no!

Già cantato negli anni del primo squadrismo da socialisti e comunisti fu assai popolare durante la guerra partigiana un po’ in tutto il Nord Italia. Venne cantato anche nell’Alto Vicentino come testimoniato in alcune interviste con ex-partigiani di Valli di Pasubio degli anni ’70. Fu tenuto vivo nel dopoguerra dalle mondine e più tardi nelle lotte del ’68 da studenti e operai. Uno degli autori ricorda di averlo sentito cantare in corriera nella versione completa con le tre bandiere, da escursionisti della GEV negli anni sessanta. Qui riproponiamo solamente la prima delle tre strofe della canzone originale perché più inclusiva. 

Bibliografia: Boldini 1975, 113-114;  Savona-Straniero 1985, 449-450

Salve o popolo de roje,
salve o patria de putane:
Mussolini n’ha ridoto
a on marelo de luame! (1)

(1) a un mucchio di letame!

Canto vicentino in forma di parodia politica contro il regime sull’aria dell’inno fascista Giovinezza (Salve o popolo di eroi / salve o patria immortale  / son rinati i figli tuoi / con la fede e l’ideale), riportato dallo scrittore di Isola Vicentina Pino Sbalchiero nel racconto Il solario, incluso nel suo libro Volta el musso. Le ultime storie della pellagra.

Bibliografia: SBALCHIERO 1993, 31.

Benito    Benito                   
te me ghe fregà pulito

te me ghe calà la paga
te me ghe cressù l’afito

quando bandiera rossa se cantava 
trenta franchi al giorno se ciapava

adesso che se canta “Giovinessa”
se more dala grande debolessa           

questo l’é ‘l premio  de chi lavora
e Mussolini lo gà mandà in malora
e Mussolini lo à mandà in malora
e lù le’l fassio chi lo ga inventà

Benito    Benito                          
te me ghe fregà pulito

te me ghe calà la paga
te me ghe cressù l’afito

finchè bandiera rossa se cantava
i poeastrei arosto se magnava

adesso che se canta “Giovinessa”
se casca in tera daea deboessa

Com’ela sta? come serà
L’é sta Benito che n’ha fregà
e in fin de la question
l’é sta Benito col baston

Benito    Benito
te me ghe calà la paga
te me ghe cressù l’afito 
te me ghe ciavà pulito

Questo canto di protesta documenta situazioni generali di disagio durante il periodo fascista. Abbiamo assemblato alcune delle strofette che vennero cantate per tutto il ventennio (e che ebbero ampia diffusione  dopo l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale) sull’aria di All’armi siam fascisti
In provincia ne abbiamo registrate otto versioni, sei delle quali sono state riportate da ex filandiere intervistate nel corso di una ricerca sui canti di lavoro in filanda nel Vicentino. 
È stata inoltre registrata una parodia dello stesso inno con un testo che è una variante di El dio del vilàn l’é la carriola sempre sull’aria dell’inno fascista. Abbiamo poi integrato le strofette raccolte nel vicentino con una proveniente da Cavarzere (RO) ma registrata nel novarese da Cesare Bermani nel 1963.                            Sempre sull’aria di All’armi siam fascisti  nel vicentino si cantavano anche queste strofette: Duce Duce/ pagane la luce/ Benito Benito/ pagane l’afito. (Trasmesse, nella primavera del 2000, da un’alunna della S.M.S. Giuriolo di Vicenza, che le aveva raccolte dalla nonna di 84 anni).
Forse sull’aria dello stesso inno era cantata anche questa strofetta, molto popolare a Calvene durante il periodo fascista: Quando che se saludava col capèlo,/se magnava qualche polastrèlo;/desso che se saluda co’a manina (1 ) /nel casson no’ ghe xe gnanca la farina. 

(1) Allusione canzonatoria al “saluto romano”che si faceva a mano tesa.

Bibliografia: BRAZZALE 2007, 123; ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, 27 Canzoniere, 123 Testi;  ZANONATO 1987, 204;  SAVONA-STRANIERO 1985, 78, 149, 150, 200.

Discografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998,CD AP07-2, Traccia 17 b;  

Documenti originali eseguiti da cantori locali:

Fin che dura questa crisi 
na paeanca no a se ciapa
la pignata fa ea mata 
el camin no fuma pi 

e fin che dura questa crisi 
na paeanca no a se ciapa
la pignata fa ea mata 
el camin no fuma pi 

Se chee bee no e me voe 
e le brute no e me pia∫e
pagherò siesento tasse  
e resterò da maridar 

e se chee bee no e me voe 
e le brute no e me pia§e
pagherò siesento tasse  
e resterò da maridar 

Anche questo canto, come il precedente, documenta situazioni generali di disagio durante il periodo fascista, dovute anche alla diminuzione dei salari come, ad esempio, nelle filande negli anni ’20 del Novecento. 
La protesta in questo caso è più velata e, ironicamente, si allarga anche all’imposizione della tassa sul celibato, in vigore dal 1927 per i maschi dai 25 ai 65 anni. 
Il disagio degli italiani aumentò negli anni successivi a seguito delle imprese coloniali in Etiopia e delle sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni, con la conseguente restrizione dei consumi (dovuta anche all’autarchia). 
A ciò vanno aggiunte l’entrata in guerra a fianco dei tedeschi senza adeguata preparazione militare e le relative risorse, con i conseguenti rovesci militari e le insufficienti razioni alimentari, distribuite mediante la “carta annonaria” o “tessera”, che facevano fiorire il mercato nero, per chi poteva permetterselo.
Sono state raccolte cinque versioni di questo brano. Quattro hanno un modello melodico diverso da quello qui presentato. In tutte vi è il riferimento alla crisi riferita al periodo fascista, mentre solo in due si fa riferimento alla tassa sul celibato. La versione che presentiamo è stata registrata a Poiana di Granfion, frazione di Grisignano di Zocco. Ce l’ha cantata Giuseppe Capitanio , nato nel 1912, che l’aveva appresa nella seconda metà degli anni ’20. 

Bibliografia: AA.VV. 1982, 1222;  BOVO 1999, 452-453, 554;  FRANZINA 1987,  159-162;  PAGNIN-BELLO’ 1990, 149; SAVONA-STRANIERO 1985, 427-429; VARDANEGA 1999, 188;  ZANONATO 1987, 203; ZANONATO 1999, 161; 

Documenti originali eseguiti da cantori locali:

  • Fin che dura questa crisi, Capitanio, Poiana di Granfion – testoascolta

L’otto settembre in montagna Ci inquadrammo con grande fervore Fu per ridare all’Italia l’onore E per cacciare il tedesco invasor

I tedeschi ci chiaman banditi I fascisti ci chiaman ribelli Ma noi siamo soltanto di quelli Che l’Italia voglian liberar

Tu Germania che sei la più forte Fatti avanti se hai del coraggio E se i fascisti ti lascian il passaggio Noi partigiani fermar ti sapren

Al comando dei nostri ufficiali Caricheremo fucili e mitralia Ma se per caso il colpo si sbaglia Col parabello all’assalto si va Ma se per caso il colpo si sbaglia Col parabello difenderci sapren

Spose e mamme abbracciate i vostri figli Che son tutti dei veri Italiani Diciotto mesi nei partigiani Han saputo l’Italia liberar Diciotto mesi nei partigiani Han saputo l’Italia liberar

Canto della Resistenza vicentina, diffuso tra i partigiani nell’area occidentale della provincia (sicuramente a Montecchio Maggiore e a Cornedo). Nel 1999 degli ex partigiani di Cornedo ci avevano già fornito il testo della canzone ma non la melodia. L’abbiamo poi registrata cantata da Teresa Peghin, ex staffetta partigiana, classe 1924, nel novembre 2022, grazie a Danilo Andriollo che ci ha messo in contatto. Durante l’incontro ha ricordato di averla imparata, sentendola cantare da ex partigiani di Montecchio Maggiore. Delle prime due strofe del testo non sono state trovate corrispondenze in altri canti e, probabilmente, sono di origine locale. Le rimanenti tre strofe sono la rielaborazione di un canto della Grande guerra: Al comando dei nostri ufficiali, la cui melodia è su un modulo da cantastorie dell’Italia settentrionale, usato ad esempio in Addio padre e madre addio. Sull’utilizzo di questo modulo, si veda anche La canzone dei fratelli Tagliaferro (traccia 10). La terza e la quarta strofa sono presenti anche in un canto della Resistenza: O Germania che sei la più forte che deriva sempre dal canto della Grande guerra. 

Bibliografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, 164 Canzoniere, 144 Testi; SAVONA- STRANIERO 1981, 82; SAVONA-STRANIERO 1985, 290-291;  

Discografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, CD AP06-2, Traccia 17 b.

Documenti originali eseguiti da cantori locali:

  • L’otto settembre in montagna, Peghin, Cornedo Vicentino – testo | ascolta

Partigiano che cosa rimiri
partigiano che cosa rimiri
e io rimiro la figlia tua           
l’è la più bella della città  
e io rimiro la figlia tua
l’è la più bella della città  

Partigiano dov’è la tua banda
partigiano dov’è la tua banda
e la mia banda l’è chì e l’è là
l’è là sui monti a gueregiàr.   (bis)

La testimonianza di ex partigiani che avevano operato nell’Alto vicentino indica la diffusione del canto in quest’area, oltre che in altre zone del Nord Italia. Questa versione deriva da un canto degli alpini (Mio baldo alpino in dov’é la tua banda), che a sua volta deriva da un canto narrativo tradizionale conosciuto come Il marinaio

Bibliografia: AA. VV. 1976, 688;  AA.VV 1982, 1240;  LEYDI 1973, 370; ROMANO -SOLZA 1960, 154; SAVONA-STRANIERO 1985, 139-141. 

Discografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, CD AP06-2, Traccia 12;  

conosciuta anche come Il partigiano (Alto Vicentino) 

Il bersagliere ha cento penne
e l’alpino ne ha una sola
il partigiano ne ha nessuna
e sta sui monti a gueregiàr

Là sui monti vien giù la neve
la bufera dell’inverno    
ma se venisse anche l’inferno

il partigian riman lassù

Quando scende la notte scura
tutti dormono laggiù alla pieve
ma camminando sopra la neve
il partigian scende in azion.   

Quando poi ferito cade
non piangetelo dentro il cuore
perché se libero un uomo muore
che cosa importa di morir
perché se libero un uomo muore
che cosa importa di morir

Le musiche dei canti della Resistenza provengono, salvo pochi casi, dall’innodia fascista, dai canti popolari o dai canti militari e della Grande guerra come nel caso di questo brano, derivato da un precedente canto degli alpini, ben conosciuto in tutto il Nord Italia e diffuso nell’Alto Vicentino.
La prevalenza di canti derivati dalla tradizione alpina tra i partigiani dell’Alto Vicentino non deve sorprendere, dato che tradizionalmente queste zone sono sempre state aree di reclutamento per le truppe alpine, anche nella Grande Guerra.

Bibliografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, 89 Canzoniere, 141 Testi; ROMANO-SOLZA 1960, 142; SAVONA-STRANIERO 1985, 320; MERCURI-TUZZI 1962, 317; VETTORI 1975, 147, 382.

Discografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998,CD AP06-2, Traccia 2;  Nuovo Canzoniere Partigiano, CD 2017, Traccia 3.

E se i tedeschi ne ciapa de giorno
alora bojorno, alora bojorno                       

E se i tedeschi ne ciapa de note
Madona che bote, Madona che bote

E se i tedeschi ne ciapa tel treno
vedemo, spetemo, vedemo, spetemo

Strofette satiriche in parte derivate dai canti alpini (Là nella valle) o da moduli musicali ben conosciuti già dalla Grande Guerra (Bombacè), come nel pezzo successivo. 
Erano cantate  nel territorio della provincia di Vicenza. 
Nelle canzoni partigiane c’è posto anche per la satira, l’ironia e l’allegria. 
Lo testimoniano questi due brani che abbiamo unito assieme, durante gli spettacoli sui canti della Resistenza, a partire dal 1995. 
Il primo canto, conosciuto anche come Bojorno, secondo la testimonianza di Luigi Meneghello era cantato sull’Altopiano dei Sette Comuni, come confermava anche Gigi Ghirotti. 
Era una satira dell’intercalare usato dai partigiani padovani attendisti ” Spetémo… vedémo…”. 

Bibliografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, 68 Canzoniere, 141 Testi; MENEGHELLO 1986, 51; ROMANO-SOLZA 1960, 161; SAVONA-STRANIERO 1981, 81-82. 

Discografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998,CD AP06-2, Traccia 03

El prete de Calvene ga predicato in ciésa
el prete de Calvene ga predicato in ciésa

attente bimbe belle che el partigian ve frega 
attente bimbe belle che el partigian ve frega

Una de le pi’ belle ga scrito la risposta
se’l partigian me frega l’è tuta roba nostra

E voi bambine belle che amate i partigiani 
non sono dei banditi ma veri italiani. 

Le prime due strofe sono una rielaborazione di un canto alpino risalente alla Grande Guerra Sul pajon (che aveva una melodia diversa), sul modulo musicale del Bombacè. 
Sono state  trasmesse al Canzoniere Vicentino da ex partigiani di Cornedo Vicentino durante un concerto il 24 aprile del 1999. 
Avevano aggiunto anche una terza strofa che qui riportiamo: E le ragazze brutte ga scritto su pai muri / pa ronpar ste mudande ghe vole i cassi duri che ha dei punti in comune con la terza strofa del canto partigiano Il parroco di Cinaglio. 
Precedentemente (prima del 1995) le prime due strofe ci erano state comunicate oralmente anche a Zugliano sempre durante un concerto, con qualche piccola variante nella seconda strofa: Una de le pì bele ga scrito su pal muro / se’l partigian ci frega l’è tuta roba nostra. La terza strofa che abbiamo inserito proviene invece da un’altra canzone raccolta oralmente dal Canzoniere nel 1975 e riportata più avanti: Vigliacco Mussolini.

Bibliografia: SAVONA-STRANIERO 1981, 513-515; SAVONA-STRANIERO 1985, 308

Col parabello in spalla (Alto Vicentino)

Cara mamma, parenti, vò via
da Vicenza io vò in Folgaria
cara mamma mi sono arruolato
nel corpo dei partigiani

Col parabello(1) in spalla caricato a palla
sempre bene armato paura non ho
quando avrò vinto, quando avrò vinto
col parabello in spalla caricato a palla
sempre bene armato paura non ho
quando avrò vinto ritornerò

E allora il capobanda giunto alla pattuglia
sempre bene armato mi vuol salutare
e poi mi disse… i fassisti son là

E a colpi disperati mezzi massacrati
dalle bombe sippe(2) i fassisti sparivano
gridando ribelli… abbiate pietà  

(1)  Fucile mitragliatore inglese Sten.
(2)  Bomba a mano prodotta dalla Società Italiana Prodotti Esplodenti (SIPE) di Milano ed impiegata durante  la prima guerramondiale e nei primi anni della seconda. 

Canto conosciuto in tutto il Nord Italia e diffuso nell’Alto Vicentino con l’incipit: Col parabello in spalla

Alle testimonianze orali fornite negli anni ’70, abbiamo aggiunto quella fornita da Palmiro Gonzato, classe 1926, attivo nelle Squadre di Azione Patriottiche con la Brigata Mazzini(3)  a Montecchio Precalcino, durante un incontro con ex-partigiani organizzato al parco del Sojo, Covolo di Lusiana (VI) nel 2010. 
Confermando la conoscenza del canto Col parabello in spalla, Gonzato  aveva aggiunto che si cantava, come prologo, la strofetta: Cara mamma parenti vò via. 
Le due parti melodiche sono simili a quelle di un canto della Grande Guerra che abbiamo raccolto a Posina dal titolo Cara mamma dall’Alpi ti scrivo, contenuto nel CD  Al 24 magio. Canti Veneti della Grande Guerra, del Canzoniere Vicentino. 
Per quanto riguarda il testo, quello del prologo è probabilmente una creazione locale perché non sono state trovate corrispondenze in altri canti, mentre quello delle altre strofette è derivato da un canto degli alpini, a sua volta rielaborazione di un canto dell’epoca risorgimentale (La bersagliera). 
La versione partigiana era ben conosciuta tra le bande dell’Alto Vicentino.

(3)  Struttura degli organici delle formazioni partigiane  (da SINIGAGLIA 2010, 48):

  • Pattuglia o squadra – da 10 a 15 uomini
  • Distaccamento – max. 80 uomini
  • Battaglione – da 80 a 250 uomini
  • Brigata – da 250 a 600 uomini
  • Divisione – oltre 600 uomini

Bibliografia: MENEGHELLO 1986, 125; ROMANO-SOLZA 1960, 138; SAVONA-STRANIERO 1985, 119-123.

Vigliacco Mussolini con tutte sue puttane 
che il popolo italiano lo fa morir di fame

Rit. Nostra patria il mondo intero
nostra legge la libertà
solo il pensiero salva l’umanità

E voi della San Marco che al rastrellamento andate
su in Altipian di Asiago le mani voi alzate

Rit.Nostra patria…

E voi cari fascisti con quelle pance grosse
è giunto ora il momento scavatevi le fosse

Rit.Nostra patria…

Sono passati gli anni, sono passati i mesi
non passaranno i giorni e sbarcarà i inglesi. 

Rit.Nostra patria…

E voi fanciulle belle che coi fascisti andate
le vostre chiome belle presto saran tagliate 

Rit. Nostra patria… 2 volte

Canzone diffusa fra i partigiani vicentini, secondo Romano-Solza…fu cantata tra il Monte Zebio e l’Ortigara, a partire forse dalla primavera del 1944… sull’aria degli Stornelli d’esilio, di Pietro Gori.  
Altre strofette  utilizzavano questa melodia, ne fa cenno Luigi Meneghello in I Piccoli maestri citandone una, Sono  passati gli anni in due parti del libro. 
La riproposizione del brano in questo CD  unisce  strofette, trasmesse oralmente da ex partigiani dell’Alto Vicentino negli anni ’70 del secolo scorso, e una delle strofette ricordate da  Meneghello. 
Una versione di questo canto è stata registrata durante una ricerca scolastica condotta da Domenico Zamboni alla Scuola Media A. Ferrarin di Thiene, nell’anno scolastico 1999/2000 e ci è stata messa a disposizione dagli amici della Bandabrian.  
Pagnin-Bellò e Vardanega hanno raccolto nella Pedemontana del Grappa due versioni molto simili fra di loro, composte da tre strofette con il solito ritornello, ma solo una è simile a quelle qui proposte. 
Secondo Pagnin-Bellò il canto era particolarmente diffuso fra i partigiani del Grappa e del Cansiglio. 

Bibliografia: AA.VV 1982, 1241; MENEGHELLO 1986, 80, 261; PAGNIN-BELLO’ 1990, 332; ROMANO-SOLZA 1960, 172; SAVONA-STRANIERO 1985, 170-173, 471; VARDANEGA 1999, 204.

Documenti originali eseguiti da cantori locali:

A Campiglia un fatto è successo
che ha destato enorme impressione
una sera là verso lo stradone
si sentiva un’arma tuonar

Due fratelli due care persone
un con moglie, l’altro da solo
una sera tornati dai campi
si sedettero a tavola insiem

Ad un tratto si senton chiamare
la signora andò a vedere
vide gente a lor sconosciuta
poverina si mise a tremar

Si avvicina il capo e le dice
dove sono i due Tagliaferro
che a loro vogliamo parlare
e portare in Pretura con noi

La signora fa cenno al marito
su fa presto non farli aspettare
il marito allora va fuori
ma il fratello tentava fuggir

Dove corri con quella gran fretta
tu ti devi sùbito fermare
altrimenti ti devo sparare
e tu devi venire con me

I fratelli andarono con loro
non sapendo le loro intenzioni
quando furon dei campi al confine
essi dissero fermatevi qua

Sono appena arrivati in quel luogo                
quei bastardi lì fecero fuoco
e nessuno si mise a gridare
stramazzati per terra li han

Mentre il sangue scorreva per terra
e i lamenti dei poveri morenti
gli assassini fuggirono contenti
mai nessuno trovarli potrà
gli assassini fuggirono contenti
mai nessuno trovarli potrà.

Brano diffuso nel basso vicentino, su modulo da cantastorie (lo stesso di 8 settembre), ispirato ad un fatto realmente accaduto ed ancora vivo nella memoria popolare. Giordano Merlin, ex-partigiano Comandante del Distaccamento partigiani di Pojana Maggiore della Brigata Martiri di Grancona durante la Resistenza, scrive:” La sera del 5 Maggio 1944 a Campiglia, a pochi metri dalla loro casa furono uccisi per rappresaglia da un gruppo di sconosciuti fascisti, i fratelli Gerardo e Aldo Tagliaferro (accusati senza prove del ferimento del Podesta’ e del segretario politico) … In precedenza, i Tagliaferro avevano fatto parlare di sé soprattutto in occasione delle elezioni del 1919 e del 1929…” per le idee socialiste e i comportamenti antifascisti.
Gli autori del duplice omicidio furono poi identificati fra i componenti della famigerata Compagnia della morte a cui appartenevano alcuni elementi della banda Caneva.
I due Tagliaferro vennero uccisi anche perché il regime voleva punire il fratello Girolamo, arciprete di Schio, per le sue attività antifasciste a favore dei partigiani e per la salvezza degli ebrei che si trovavano a Schio e nei paesi circostanti.
Di questo brano abbiamo raccolto due versioni scritte e una testimonianza orale.
La prima versione, completa di testo e partitura, intitolata La canzone dei fratelli Tagliaferro, ci è stata fornita, tramite il figlio Maurizio, da Giordano Merlin (classe 1922), che l’ha attribuita a Luciano Pirocca di Campiglia dei Berici, spirito allegro e scherzoso, falegname e imbianchino, appassionato d’opera, animatore di balli giovanili e suonatore di mandolino. 
La seconda versione del testo, simile alla prima ma intitolata In memoria dei fratelli Tagliaferro, fornita da Giuseppe Baruffato (Val Liona), viene attribuita a Paolo Bertesina, detto Cinelo, e risale alla fine degli anni ’70 del secolo scorso.
Una terza versione ci è stata fornita in video da Enrico Antonello, registrata da un’informatrice anonima che ricordava solamente qualche verso del canto.  L’adattamento del testo che abbiamo operato nella riproposta del brano, ha ridotto a nove le tredici strofe originarie ma mantiene l’essenzialità della narrazione del fatto.

Bibliografia: DE GRANDIS 2016, 395, 417, 535; FRANZINA 2009, 84;  SARTORI 1996, 90-91, 94-97, 100-101;  SINIGAGLIA 2010, 49

La notte dell’otto di giugno
i fascisti vi hanno ingannato
vi hanno preso e torturato
ucciso con l’odiosa mitraglia

In una chiesetta di Grancona
le carni vi han martoriato

per la piazza trascinato
massacrato vi ha la canaglia

I vostri corpi ribelli
più non combatteranno
ma la memoria vostra
resterà sempre viva quaggiù

Tutta la Val Liona
s’inchina per onorarvi
eravate giovani e coraggiosi
vogliam ricordarvi

La vostra morte ha indicato
la strada della libertà
della pace e del vivere
senza oppressi ed oppressor

Testo composto nella primavera del 1998, dalla classe terza A dell’allora S.M.S. G. Zuccante di Grancona in Val Liona, nel corso di un laboratorio di scrittura condotto dal Prof. Massimo Todesco, e ispirato ad un fatto realmente accaduto. 
La sera dell’otto giugno 1944, sette giovani antifascisti di Grancona furono attirati con l’inganno nella chiesetta di S. Antonio e massacrati da fascisti (appartenenti alla famigerata banda Caneva), che cercavano di eliminare sul nascere la Resistenza nei Colli Berici fingendosi partigiani. 
Luciano Zanonato, allora insegnante di Educazione Musicale presso la stessa scuola, ha adattato e musicato il testo che è stato poi eseguito dalle sei classi dell’Istituto in occasione della cinquantaquattresima cerimonia commemorativa dell’eccidio dei Sette martiri. 
Già due anni prima (nel 1996) gli studenti della scuola avevano partecipato alla cerimonia eseguendo un canto il cui testo era stato composto da Nicolino Polcino e musicato da Roberto Polcino. 
La canzone che presentiamo nel CD è la rielaborazione della versione del 1998.

Bibliografia: Lo Zuccantino, Numero Speciale del giornalino della  S.M.S. G.Zuccante di Grancona, Maggio 1998 c.i.p.; SARTORI 1996, 89-105, 154. 

Il 26 agosto nessun se l’aspettava
tedeschi e brigate nere al rastrellamento andava

ci hanno presi a letto come veri bambin
portati in prigione come degli assassin

Al ponte dea Gajoffa insieme siam partiti
sopra ad un grande camion per esser deportati

insieme e disperati senza saper perché
povera mamma mia cosa sarà di me

A Zugliano da Marini ci hanno consegnati
accolti a pugni e schiaffi per essere interrogati
insieme e disperati senza saper perché
povera mamma mia cosa sarà di me

Comincia ad insultarmi “tu sei un partigiano”
il cuor diceva “sì, ma tu sei un gran villano”

non mentiremo mai di fronte ai nostri cuor
ma contro i delinquenti si fecer grandi onor

Diretti in Germania ci hanno destinati
a lavorare duro ci hanno poi mandati

eppur con tanta ansia aspetterem quel dì
per ritornare a mamma e mai più partir
eppur con tanta ansia aspetterem quel dì
per ritornare a mamma e mai più partir

Grazie alla segnalazione e alla documentazione storica di Giannico Tessari, avevamo già proposto questo canto nel 2018, adattando su una melodia da cantastorie il testo del brano Marola pubblicato dal Nuovo Canzoniere Partigiano, ma con l’aiuto degli amici della Bandabrian che avevano registrato da un informatore di Lugo una versione cantata, siamo riusciti a riproporlo con la melodia dello Spazzacamino, alla quale il testo era stato originariamente adattato.
Il canto descrive il rastrellamento nazifascista del 26 agosto 1944 a cui gli storici accennano quando scrivono dello scontro di Marola di Chiuppano. 
Riassumendo brevemente la vicenda, che si può trovare ampiamente descritta nei fascicoli Le Porte della Memoria 2018 e 2020,  a seguito di una spiata, i nazifascisti vennero a sapere che un reparto partigiano Garibaldino, composto da trentacinque uomini,  proveniente da Magrè, la notte del 25 agosto 1944 aveva raggiunto le Bregonze per dirigersi verso l’Altopiano dei Sette Comuni il giorno seguente. 
I nazifascisti riuscirono ad organizzare in breve tempo un grande rastrellamento che, a partire da poco prima dell’alba del 26 agosto, interessò tutte le colline delle Bregonze. 
I partigiani, nonostante l’accerchiamento di soverchianti forze nemiche, riuscirono a sganciarsi e a raggiungere l’Altopiano subendo la perdita di due uomini e avendone un altro ferito. 
Se con i partigiani non ebbe successo, il rastrellamento permise invece la cattura, nelle loro case o in rifugi di emergenza, di  molti giovani uomini: militari sbandati dopo l’otto settembre e renitenti alla leva, compresi giovani che non avevano ancora l’età per la leva essendo nati nel secondo semestre del 1926. 
Sul versante Nord-Est delle Bregonze, in Comune di Lugo, i rastrellati furono fatti scendere a piedi fino al ponte sull’Astico (Ponte degli Alpini denominato anche Ponte della Gajoffa), dove furono poi fatti salire su un camion. 
Dopo controlli e verifiche avvenuti alla Marini di Zugliano (poi Cascami Seta), alle carceri di Thiene, a Vicenza ed infine a Peschiera, diciotto di loro furono deportati per il lavoro coatto in Germania. 
Alla fine del conflitto tornarono tutti a casa ma la salute di molti di loro era irrimediabilmente compromessa. 

Bibliografia: Atlante stragi nazifasciste http//www.straginazifasciste.it. Scheda compilata da Pierluigi Dossi; TESSARI 2018, 6-11, 12-31; TESSARI 2020, 44-46.

Discografia: Nuovo Canzoniere Partigiano, CD 2017, Traccia 2.

E lassù sul monte Grappa
son trecento i partigiani
tutti giovani italiani
la lor vita non torna più

I tedeschi son partiti
col cannone e la mitraglia
son venuti a dar battaglia
ai trecento partigian

Dalla valle s’alza un grido:
“Siam tremila alto le mani
e le forche giù nel borgo
son già pronte ai partigian”

Ma dal monte giù risponde
“Vegnè a ciorne fioi de cani
siamo giovani italiani
siam trecento partigian”

E lassù sul Monte Grappa
son trecento corpi uccisi
tutti giovani italiani
la lor vita non torna più.

Da Mercuri e Tuzzi: “Dopo il rastrellamento del Grappa dell’estate 1944, un partigiano anonimo del bellunese rielabora il testo della canzone: Lassù sulle montagne  c’eran mille pastorelle, pascolavan i caprin  sull’erba fresca e bella.  Il canto non ebbe vasta diffusione; tuttavia rimase in uso in qualche formazione per un breve periodo di tempo.”
Durante il grande rastrellamento del Monte Grappa, durato dal 20 al 28 settembre 1944, furono catturati, uccisi o deportati  alcune centinaia di partigiani, trentuno dei quali furono impiccati a Bassano del Grappa ed  esposti alla popolazione per circa ventiquattr’ore. 
Altri quaranta vennero impiccati nei paesi ai piedi del Grappa, anch’essi esposti alla popolazione per terrorizzarla.  
Secondo la storica Sonia Residori: …nonostante siano trascorsi oltre sessant’anni , ancora non si conosce il numero esatto degli uccisi e dei deportati nei campi di concentramento, dei trucidati e dei morti in combattimento, di chi apparteneva a bande partigiane o era semplice civile… 
Sempre Residori, ricordando che l’esito dei conflitti a fuoco con i rastrellatori sul Grappa non produsse un alto numero di vittime fra i partigiani (da ventitré a quarantatré secondo i documenti pubblicati nel suo libro), afferma che furono le menzogne diffuse dopo i primi giorni di rastrellamento da nazisti e fascisti (che promisero di non punire chi si fosse presentato spontaneamente), a convincere molti partigiani e renitenti alla leva a consegnarsi  per poi finire invece giustiziati. 
Ricorda inoltre che a guerra conclusa, i caduti e le famiglie non ebbero giustizia perché nella maggior parte dei casi i colpevoli non pagarono per le loro colpe, non venendo condannati o, se condannati, venendo poi amnistiati. 

Bibliografia: MERCURI – TUZZI 1973, 382-383; RESIDORI 2007, 45, 50, 150, 252-254; SAVONA-STRANIERO 1985, 240-241.

Dalla cantina un tanfo sale pian pian
la bacinella puzza e piena sta
e di persone pigiate ve n’è più d’una
e la ragion di questo chissà qual è 

Pieni di bestiole nel corpo 
il suo nome conosco
vuoi conoscerlo tu.

Pieni di spaventi e paure
per le gran battiture
dell’interrogazion

Laggiù in cantina
noi dovremo marcire ahimé
finché un giorno
moriremo in due tre

Cantina
tutto passa e si scorda
meno il pezzo di corda
che impiccarci dovrà

Laggiù in cantina
noi dovremo marcire ahimé
finché un giorno
moriremo in due tre

Cantina
tutto passa e si scorda
meno il pezzo di corda
che impiccarci dovrà
che impiccarci dovrà

Canzone trasmessaci da Lorena Garzotto, che l’aveva registrata durante un’intervista (effettuata nel 2010) a Elisa Gasparotto Montemaggiore, ex partigiana come il marito Antonio e i fratelli Domenico e Francesco, nata a Salcedo nel 1923.
Il giorno di Pasquetta del 1945 a seguito di un rastrellamento messo in atto a Salcedo, Elisa, arruolata tra le fila della terza compagnia della Brigata Mazzini Martiri di Granezza, venne catturata dai fascisti, assieme ad altre persone, e portata alle carceri di Bassano.
Venne rinchiusa assieme ad altre dieci ragazze in una grande stanza al piano terra mentre i numerosi maschi (fra i quaranta e i cinquanta), erano stipati nella sottostante cantina.
Durante un interrogatorio venne minacciata di essere impiccata se non avesse rivelato i nomi dei partigiani suoi compagni, ma anche se non fece alcun nome non subì violenze fisiche.
Con alcune compagne di cella ebbe la forza di spirito di comporre alcune strofette sulla loro condizione, adattandole alla melodia di una canzone allora in voga, La strada del bosco.
Lei e le compagne riuscirono poi a fuggire dal carcere negli ultimi giorni di guerra, prima che venisse attaccato dai partigiani.
Questo brano ricorda il grande contributo fornito dalle donne alla lotta di Liberazione, molto spesso non riconosciuto, e solo in tempi recenti ricordato e apprezzato.

Bibliografia: GASPAROTTO MONTEMAGGIORE 1995, 66-67

Documenti originali eseguiti da cantori locali:

Mama mi dòle la gamba sinistra,
e xe morto un fasista, eviva Lenin

Domani a le oto se fa el funerale
xe morto un maiale, eviva Lenin

Mama mi duole la mano sinistra
xe morto el fasista, eviva Lenin

Domani faremo un gran funerale
xe morto el maiale di Mussolin

Parodia politica sull’aria della nota canzone degli anni del primo dopoguerra Donna donna, già utilizzata durante il biennio rosso come melodia per il canto Dal diciannove ormai giunti al venti, e rimasta a lungo nell’uso popolare.
Le prime due strofette che compongono il canto sono state da noi raccolte nel maggio del 1982 dalla voce di Domenico Carraro (soprannominato Menego dei Carari), classe 1903, a San Fise di Pianezze di Arcugnano – VI, proprio in una delle abitazioni che, durante la Resistenza, era stata sede del comando del Battaglione Berici, che Giacomo Chilesotti aveva concorso a creare, assieme a Gigi Tridenti. 
L’informatore, originario di Lapio di Arcugnano – VI,  riferiva di averle sentite cantare durante e alla fine della Resistenza, confermando la presenza di partigiani in quel luogo, ma non ha voluto fornire ulteriori informazioni. 
Le altre strofette sono state registrate a Montecchio Maggiore il 30 giugno 1986 dalla signora Luigia Massignan (soprannominata Mora Scalchi), classe 1908, durante una ricerca sui canti di filanda. 
La signora dopo aver parlato degli scioperi delle filandiere negli anni fra le due guerre mondiali e dei problematici rapporti con i fascisti del paese, ha cantato Benito Benito e ha aggiunto subito senza interrompersi le due strofette. 
Non ha saputo dire quando le aveva imparate ma ricordava che erano conosciute in paese. 
Non sono state inserite nella sequenza le quattro strofette cantate da una filandiera anonima, classe 1912, registrate ad Arzignano  il primo agosto 1986, sempre nel corso della ricerca sui canti di filanda, perché nelle prime due si faceva il cognome di un noto squadrista del paese mentre le rimanenti erano simili a quelle di Luigia Massignan.

Bibliografia: AA.VV. 1982, 1244; DAL LAGO 1999, 208-2016;  VETTORI 1974, 208, 340; ZANONATO 1987, 202.

Documenti originali eseguiti da cantori locali:

Mussolini e la Petacci Pavolini e Farinacci
e tutto il suo seguito e gli altri suoi pagliacci
eran tutti egoisti e affaristi e sfruttator
e in tutta quanta Italia han portato il terror

E vennero le sanzioni e lui ci prese l’oro
alle spose vedovelle lui prese il suo tesoro
argento e alluminio il rame a noi civil
portò via le campane lassù sui campanil

Con il razionamento e con il pane nero
creava in Italia il gran mercato nero
sparite le materie di ogni qualità
per trovar  qualcosa soldi soldi in quantità

In Russia in Egitto i fascisti coi tedeschi
inizian la ritirata e via lesti lesti
Mussolini gridava “vincere italiani vincerem
con le armi segrete presto ritornerem”

Tra Como e Milano Mussolini e la Petacci
dai nostri partigiani son stati catturati
in breve processati e poi l’esecuzion
Benito il grande capo se l’ha fatta nel bragon.

Dino Coltro, che ha incluso la canzone nel suo Cante e cantari, la classifica fra le storie cantate  (i componimenti dei cantastorie) e commenta: Esempio di ballata politica, costruito sul sarcasmo popolare e sull’ironia con i quali sono visti i fatti e i personaggi e storici. 
E’ stata raccolta nel 1997 in Val Liona durante una ricerca sui canti tradizionali, che ha coinvolto tutti gli alunni dell’allora S.M.S. G. Zuccante di Grancona, da Tania Dal Ben che aveva registrato la nonna, Angelina Framarin (classe 1926) originaria di Terrossa di Roncà (VR). 
L’anziana informatrice l’aveva appresa  nel 1946, sentendola cantare da una cognata durante la raccolta delle ciliegie. 
Delle otto strofe della versione raccolta nel 1997, ne abbiamo utilizzate solamente cinque, integrandole, quando incomplete, con le strofe della versione veronese di Coltro. 
Il brano molto probabilmente è stato composto e si è diffuso dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la conseguente caduta del regime fascista, come altri che abbiamo trovato durante la ricerca bibliografica: per il Vicentino Il fascismo è già scaduto in Pianalto,  per il Trevigiano Benito è all’inferno in Vardanega.

Bibliografia: AA.VV 1982, 1243; COLTRO 1988, 351-353, 742; PIANALTO 1980, 97, 130; VARDANEGA 1999, 269-270.

Documenti originali eseguiti da cantori locali:

Fischia il vento, infuria la bufera
scarpe rotte eppur bisogna andar

a conquistare la rossa primavera
dove sorge il sol dell’avvenir

Ogni contrada è patria del ribelle
ogni donna a lui dona un sospir
nella notte lo guidano le stelle
forte il cuore e il braccio nel colpir

Se ci coglie la crudele morte
dura vendetta verrà dal partigian
ormai sicura è già la dura sorte
del fascista vile e traditor

Cessa il vento, calma è la bufera
torna a casa il fiero partigian
sventolando la rossa sua bandiera
vittoriosi alfin liberi siam!

(1)  Anche Soffia il vento

È il canto che ha avuto sicuramente la maggiore diffusione tra tutti quelli che hanno accompagnato  la Resistenza. 
La testimonianza di ex partigiani che avevano operato nell’Alto vicentino indica la diffusione del canto anche nella nostra provincia. 
Conosciuto e cantato in ogni parte d’Italia coinvolta nella lotta partigiana, nasce da una canzone d’amore russa, probabilmente arrivata in Italia attraverso i reduci della guerra di Russia, i fanti dell’Armir, che l’avevano sentita cantare e poi memorizzata. 
Si tratta di “Katiuscia”, opera del poeta sovietico Isakovski, la cui prima strofa inizia con questi versi: Fiorivano i meli, fiorivano i peri / Le nebbie veleggiavano sul fiume / Katiuscia discendeva alla riva / All’alta riva scoscesa… 
La melodia molto semplice poteva essere facilmente ricordata, ma il testo italiano che origini ha? 
L’attribuzione che sembra avere maggiore fondamento è quella che la assegna a Felice Cascione, medico dell’Ospedale di Oneglia e poi comandante della II Divisione d’assalto garibaldina operante nella zona di Imperia. 
Il testo originale ha poi subito, come spesso capita in questi casi, molte varianti locali da parte delle bande impegnate in altre zone d’Italia, ma è arrivato a noi abbastanza coerente e integro. 
Nel romanzo “Il partigiano Jhonny” Beppe Fenoglio descrive l’effetto che ebbe il canto sui partigiani Badogliani, gli “Azzurri”, quando lo sentirono eseguito dai Garibaldini: “… Disse Johnny ad Ettore che aveva ritrovato appena fuori della cintura rossa: – Essi hanno una canzone, e basta. 
Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. É una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. 
Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. 
Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.”

Bibliografia: BOLDINI 1975, 134-135; GASPAROTTO MONTEMAGGIORE 1995, 29, 37; MERCURI – TUZZI 1973, 318; ROMANO – SOLZA 1960, 163; SAVONA-STRANIERO 1985, 187-190.

Discografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, CD AP06-2, Traccia 1;  Nuovo Canzoniere Partigiano, CD 2017, Traccia 5

Questa mattina mi sono alzato
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao

stamattina mi sono alzato
e ho trovato l’invasor

O partigiano portami via
che mi sento di morir

E se muoio da partigiano
tu mi devi seppellir

E seppellire lassù in montagna
sotto l’ombra di un bel fior

E le genti che passeranno
e diranno “o che bel fior” 

E questo è il fiore del partigiano
morto per la libertà.

E questo è il fiore del partigiano
morto per la libertà (3 volte)

È la più famosa fra le canzoni della Resistenza italiana, anche se la sua diffusione è dovuta soprattutto alla versione incisa negli anni ’60 da Yves Montand, che ebbe un eccezionale successo diventando una vera hit discografica. 
Secondo i primi studi, da parte di Roberto Leydi, le ascendenze più probabili sembrerebbero legate a un gioco infantile (La mia nona l’è vecchierella, che nella versione trentina presenta l’inciso La me fa ciàu, la me diś ciàu, la me fa ciàu, ciàu, ciàu) e alla ballata Fior di tomba ben conosciuta in gran parte d’Italia per quanto riguarda il testo (R.Leydi I canti popolari Italiani).
Esiste anche una versione di risaia (riportata da Giovanna Daffini nello spettacolo Bella Ciao del 1964 al Festival di Spoleto), che però è  posteriore e dovuta a un autore (Vasco Scansani), anche se in un primo momento fu interpretata come l’origine del canto. 
Più recentemente l’ipotesi di una ascendenza molto più complessa, almeno per la musica, è comparsa confrontandola con un pezzo (Koilen) inciso e pubblicato a New York  nel 1919 da Mishka Tsiganoff, fisarmonicista zingaro cristiano nato a Odessa, che aprì un ristorante a New York: parlava correttamente l’yiddish e lavorava come musicista klezmer.
Certo la somiglianza con l’incipit del canto (e solo quello, perché il resto non ci assomiglia per nulla) è indubitabile, anche se non potremo mai sapere per quali vie misteriose potrebbe essere arrivato in Italia ed eventualmente adottato dai nostri partigiani.
C’è poi il problema della presenza scarsamente documentata di questo canto.
Quali formazioni partigiane l’avevano adottata? 
Sembrava, sempre secondo Leydi, dalle poche testimonianze raccolte allora, soprattutto quelle presenti nella zona dell’Appennino Emiliano.
Due anni fa è uscito uno studio che introduce molte novità sulla diffusione e sulla origine del canto (Cesare Bermani,  Bella ciao  La fortuna di una canzone, Interlinea, Novara 2020).
Secondo Bermani  Bella Ciao era l’inno di combattimento della Brigata Maiella in Abruzzo, cantato dalla brigata nel 1944 e portato al Nord dai suoi componenti che dopo la liberazione del Centro Italia aderirono come volontari al corpo italiano di liberazione aggregato all’esercito regolare.
La ragione per cui non se ne aveva adeguata notizia, osserva Bermani, stava in un errore di prospettiva storica e culturale: l’idea che la Resistenza, e quindi il canto partigiano, fossero un fenomeno esclusivamente settentrionale.
Il fatto che la canzone iconica dell’antifascismo venga invece dall’Abruzzo sposta la prospettiva non solo sul canto, ma sul movimento di liberazione nel suo insieme.
I partigiani che hanno combattuto nell’Italia centrale continuano la lotta salendo a liberare il Nord; tra loro, c’erano anche i combattenti della Brigata Maiella. 
L’incontro fra questi combattenti e le forze partigiane del Nord, soprattutto in Emilia, diventa un cruciale momento di scambio e contaminazione culturale.
È lì che i partigiani umbri della Brigata Gramsci arruolati nel corpo di combattimento Cremona impararono sia Fischia il vento sia Stoppa e Vanni, per poi riadattarle al loro contesto; e fu proprio a Reggio Emilia che l’allora partigiano Vasco Scanzani imparò la Bella ciao partigiana che nel 1951 avrebbe poi trasformata nel canto di lavoro delle mondine.
Bermani parte dal rapporto fra il canto partigiano e il canto epico-lirico narrativo di tradizione orale, ripercorrendo i legami strettissimi con canti tradizionali come Fior di Tomba (testo) e La bevanda sonnifera (melodia). 
In Italia centrale, per esempio, è abbastanza diffusa una versione narrativa di Fior di tomba inframmezzata dal ritornello Bella ciao, quasi come una contaminazione al contrario in cui il canto partigiano retroagisce sulla ballata tradizionale.
Anche nei Canti Popolari Vicentini di Vere Paiola c’è una versione di Fior di Tomba raccolta a Vicenza che, oltre a riportare il ritornello: e prima ciao, e dopo ciao mia bella ciao, ciao, ciao, ha anche la melodia simile a Bella ciao.
Tutto questo ci dice che il canto più famoso della Resistenza italiana, conosciuto e cantato ormai in tutto il mondo, è frutto di una marea di contaminazioni, passaggi, rielaborazioni, che ben ci fanno capire come nasce un canto popolare (in questo caso si può usare il termine adeguatamente in entrambi i significati, cioè nato dal popolo oppure conosciuto da tutti).
Come ulteriore documentazione, riportiamo queste strofe che ci cantarono, aggiungendole alla fine di Bella ciao, degli ex-partigiani di Cornedo Vicentino nell’aprile del 1999: Ed era rossa la sua bandiera / o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao / ed era rossa la sua bandiera / la bandiera dell’onor./ E verrà un giorno che tutti quanti / o bella ciao… / noi godrem la libertà.

Bibliografia: BOLDINI 1975, 133;  LEYDI 1973, 374-376;  PAIOLA 1975, 152-153; ROMANO – SOLZA 1960, 148; SAVONA-STRANIERO 1985, 73-75;  VETTORI 1974, 147, 379-382.

Discografia: ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO 1998, CD AP06-2, Traccia 18. 

Bibliografia citata:

  • AA. VV., Civiltà rurale di una valle veneta – La Val Leogra-, Vicenza 1976 
  • AA.VV., La classe gli uomini e i partiti – Storia del movimento operaio e socialista in una provincia bianca: il Vicentino (1873 – 1948), a cura di E. Franzina, Odeon Libri, Vicenza 1982 
  • BOLDINI Sergio: Il canto popolare strumento di comunicazione e di lotta, nella collana “Formazione sindacale –Materiali”, diretta da Lionello Bignami, Anno III, N.8, gennaio-marzo 1975 Editrice Sindacale Italiana s.r.l., Roma
  • BOVO Giorgio, Oi cara mama l’amor l’è grande. Canti e musiche popolari del Monte Baldo, Azimut edizioni, Verona 1999
  • BRAZZALE Francesco, Dal Pian del Toto a la Val de Fonte Calvene La vera storia di un paese del pedemonte dal Neolitico ai nostri giorni, Agorà Factory, 2007
  • COLTRO Dino, Cante e cantari. La vita il lavoro le feste nel canto veneto di tradizione orale, Marsilio Editore, Venezia 1988
  • DAL LAGO Reginaldo, Planecie a Lacu. Vicende storiche di Pianezze del Lago, a cura del Comitato Promotore della Parrocchia di Pianezze, 1999
  • DE GRANDIS Ugo, E la piazza decise Schio, 7 luglio 1945. L’Eccidio, Schio, 2016
  • FRANZINA Emilio, “Bandiera rossa ritornerà, nel cristianesimo la libertà“, Verona 1987 
  • FRANZINA Emilio, La parentesi Società, popolazione e Resistenza in Veneto (1943-1945), IVRR e Cierre edizioni, Verona 2009
  • GASPAROTTO MONTEMAGGIORE  Elisa, Il sapore amaro della libertà. Memorie di una partigiana, Casa Editrice LA SERENISSIMA, Vicenza 1995
  • ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO a cura di, Avanti popolo due secoli di canti popolari e di protesta civile, Hobby & Work Italiana Editrice S.p.A., Bresso (MI) 1998, Canzoniere, Testi e CD
  • LEYDI Roberto, I canti popolari Italiani, Arnoldo Mondadori, Milano 1973 
  • MERCURI Lamberto – TUZZI Carlo, Canti politici italiani 1793-1945,  Editori Riuniti, Roma 1962, II edizione, 1973
  • PAGNIN Piero – BELLO’ Emanuele, Canti popolari trevigiani, Treviso, Provincia di Treviso 1990
  • PAIOLA Vere, Canti popolari vicentini raccolti con le musiche di Vere Paiola e annotati da Roberto Leydi, Neri Pozza, Vicenza 1975
  • PIANALTO Sergio,  Aliégre compagne,  A cura dell’Assessorato alla Cultura e della Biblioteca Comunale, Recoaro Terme 1980                  
  • RESIDORI Sonia, Il massacro del Grappa. Vittime e carnefici del rastrellamento (21-27 settembre 1944), Istrevi, Cierre edizioni, Verona 2007.
  • ROMANO Tito – SOLZA Giorgio, Canti della Resistenza italiana, Collana del Gallo Grande, Edizioni Avanti!, Milano 1960
  • SARTORI Giuseppe, La sera del Corpus Domini  Memorie sull’eccidio dei Sette  Martiri di Grancona, Editrice Sezione Anpi, Grancona 1996
  • SAVONA Virgilio / STRANIERO Michele,  Canti della Grande Guerra, Garzanti, Milano 1981
  • SAVONA Virgilio / STRANIERO Michele,  Canti della Resistenza Italiana, Rizzoli Editore, Milano 1985 
  • SBALCHIERO Pino, Volta el musso. Le ultime storie della pellagra, Galla 1880 Vicenza 1993
  • SINIGAGLIA Donatella (a cura di), Memorie di un Partigiano del Basso Vicentino. Autobiografia del maestro Giordano Merlin, CENTRO STUDI BERICI  2010
  • TESSARI Giannico (a cura di), Dispensa realizzata per Le Porte della Memoria 2018 dall’Associazione Amici della Resistenza di Thiene, Thiene 2018. 
  • TESSARI Giannico (a cura di), Dispensa realizzata per Le Porte della Memoria 2020 dall’Associazione Amici della Resistenza di Thiene, Thiene 2020. 
  • VARDANEGA  Gabriele (a cura di), I Posagnòt. Canti del Grappa. Il canto popolare nella tradizione orale della Pedemontana del Grappa, Danilo Zanetti Editore, Caerano S. Marco 1999
  • VETTORI Giuseppe, Canti popolari italiani, Newton Compton editori s.r.l., Roma 1974
  • ZANONATO Luciano, Contributo allo studio dei canti sociali nel Vicentino: i canti di filanda, Bologna,
  • DAMS,  A.A. 1986-87, Tesi di laurea inedita
  • ZANONATO Luciano, I canti di filanda in Mestieri e saperi fra città e territorio, a cura di Giovanni
  • Luigi Fontana e Ulderico Bernardi, Neri Pozza editore, Vicenza 1999

Discografia: 

  • ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO a cura di, Avanti popolo due secoli di canti popolari e di protesta civile, Hobby & Work Italiana Editrice S.p.A., Bresso (MI) 1998, 
  • CD AP07-2 Duce il vestito mi si scuce, 
  • CD AP07-2 Fischia il vento
  • La più balda gioventù. Canzoni della Resistenza. Istresco – CD001 Abbinato a Venetica, Rivista di Storia Contemporanea, Terza serie n. 11, Cierre Edizioni, Caselle di Sommacampagna (VR) 2005
  • Nuovo Canzoniere Partigiano, Il Nuovo Canzoniere Partigiano, CD 2017

Ascolta

In questa sezione si possono ascoltare, dalla viva voce degli informatori, i documenti originali registrati nelle interviste effettuate durante la ricerca. Essi rappresentano il punto di partenza che abbiamo utilizzato per rielaborare ed arrangiare una parte dei canti proposti nel CD.

Canto della Resistenza vicentina trasmesso da Teresa Peghin, nome di battaglia Wally, partigiana, classe 1924, cantato durante la Resistenza dai partigiani dell’ovest vicentino (Montecchio Maggiore, Cornedo)

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