Ascoltiamo le parole delle partigiane

Che cosa ci dicono le partigiane oggi, in un tempo in cui una pandemia è paragonata a una guerra, loro che la guerra l’hanno vissuta davvero e ne hanno conosciuto l’orrore, la ferocia, la violenza?

Ho sentito al telefono Rina Somaggio, Teresa Peghin e Lina Tridenti, nelle loro case amorevolmente accudite da figli e nipoti. Ciò che le angoscia, più del corona virus, è un altro contagio: la “peste nera” di un fascismo rinvigorito e arrogante che contagia tanti giovani.

Loro che hanno conosciuto il fascismo storico, sanno riconoscere i segnali, nei discorsi di odio, negli atti quotidiani di razzismo, nelle profanazioni di luoghi della memoria ebraica e partigiana. Non lontano da loro, a Torrebelvicino, il 27 gennaio scorso una mano anonima ha affisso il cartello: “27 gennaio Giorno della Memoria ricordiamoci di riaprire i forni: ebrei, rom, sinti, froci, negri, comunisti. Ingresso libero”, firmato con una svastica e SS Vicenza. Teresa Peghin “Wally”, staffetta delle Brigata Stella, è molto preoccupata per il clima di odio, sa che le minacce possono trasformarsi in atti violenti. La angoscia il pensiero di un presente in cui si sta perdendo la memoria della Resistenza, dei valori per i quali i partigiani e le partigiane hanno combattuto e rischiato la vita, anche per le generazioni future, per garantire a tutti pace, libertà, giustizia e democrazia.

Noi dell’associazione rEsistenze, negli ultimi 25 anni le abbiamo incontrate, abbiamo ascoltato le loro parole e raccolto le loro testimonianze; ne abbiamo scritto le storie che sono diventate un libro: Voci di partigiane venete . Che cosa ci dicono? Quale messaggio ci lasciano?

“Sentivamo di essere dalla parte giusta. Lottavamo per la libertà, per essere liberi”: questo era il pensiero di Luigina Castagna (Recoaro 1925- Vicenza 2017), la “toseta delle montagne” che divenne staffetta della Brigata Stella con nome di “Dolores”, mentre veniva torturata dalle brigate nere.

Anche Rina Somaggio (Altavilla 1925) fu incarcerata e torturata. “Mi chiedevo da dove potesse venire quel coraggio disperato”, dice Rina mentre resiste con tutte le sue forze, “animata da un rifiuto feroce”, al suo carceriere che la immobilizza e tenta di baciarla. Ancora oggi è difficile per Rina raccontare quello che ha subito, impossibile trovare le parole per descrivere “quel senso di annientamento che i fascisti mi hanno fatto vivere, quella paura costante di essere eliminata”, ma ci prova, pur con angoscia, perché vuole far capire come il regime fascista annientasse la dignità umana.

“Anche noi donne abbiamo conosciuto il coraggio, la capacità di resistere alla tortura”, dice Lina Tridenti, la staffetta “Piccola” (Pianezze dei Berici, 1923); “fu un tempo molto forte, pieno di sacrifici, di dolore e di paura, ma anche di emozioni belle e di entusiasmo. Ho imparato il coraggio, la comprensione, il rifiuto dell’ipocrisia”.

Avevano vent’anni quando c’è stata la Liberazione e ai giovani di oggi, ragazzi e ragazze, le partigiane vorrebbero consegnare il loro messaggio: non rimanere indifferenti, scegliere tra guerra e pace, oppressione e libertà, prendersi cura della democrazia. “Non è giusto obbedire a una legge ingiusta – ha riflettuto Tina Anselmi vedendo i corpi degli impiccati penzolare dagli alberi a Bassano – bisogna opporsi al senso di fatalità e di passività”. Esserci per cambiare.

Maria Teresa Sega