Brenno Guastalla “Carlo”

Tratto da “Figure della Resistenza vicentina: profili e testimonianze” di Mario Faggion e Gianni Ghirardini

Brenno Guastalla “Carlo”-“Carlo Carli”, di Arduino e di Bosi Maria, è nato a Gonzaga il 24-12-1920.
Nel periodo della Resistenza era domiciliato a Suzzara (Mantova).
La sua famiglia emigra in Francia nel 1930, sistemandosi a Gap. Comprende i genitori e i figli Brenno, Lavinia e Bruno.
Comincia il lavoro di apprendista pittore a 11 anni. Partecipa agli scioperi del 1936-1937 all’epoca del Fronte Popolare e aderisce alla “Gioventù Comunista Francese” nel 1938.
Subisce il primo arresto nel 1939, dopo che il F.C.F. è messo fuori legge.
Quando l’ItaIia nel 1940 entra in guerra contro la Francia, essendo cittadino italiano, viene inviato nuovamente e internate per sei mesi in un campo di concentramento. Rilasciato all’arrivo dell’esercito tedesco, ritorna a Gap e riprende i Collegamenti con il P.C.F,
Partecipa alla diffusione di materiale di propaganda clandestino, tra cui volantini e giornali.
Nel novembre 1941 fa parte del Fronte Nazionale, è membro del 13° Battaglione F.T.P.F – Settore C, che agisce a Gap. Prende parte a diverse operazioni.
Milita nella Resistenza francese fino all’agosto 1943.
A Gap è in collegamento con alcuni membri del PCI. Un esponente comunista, “Pietro”, gli chiede di rientrare in Italia insieme alla sorella Lavinia per il loro impiego nella lotta antifascista.
Rientrano insieme nel mese di agosto 1943. Svolgono attività politica a Suzzara (Mantova) e a Luzzara (Reggio Emilia).
Nel mese di gennaio 1944 Brenno viene inviato a Malga Campetto.
Guastalla Lavinia è mandata a Padova, a disposizione del comando garibaldino, ed assume il difficile incarico di staffetta con il nome di “Nerina”.

Lasciamo però la parola a “Carlo” che ci ha fatto pervenire dalla Francia una bella testimonianza. riportata interamente con lievi interventi formali.

“In Francia dal 1930, dove i miei genitori si sono stabiliti a Gap, con mia sorella Lavinia e mio fratello Bruno, ho cominciato a lavorare come apprendista pittore in edilizia, ho partecipato agli scioperi del 1936-37, ho aderito alla “Jeunesse Communiste Francaise” e sono stato arrestato nel 1939 dopo la messa fuori legge del P.C.F.
Alla dichiarazione di guerra dell’1talia contro la Francia mi hanno di nuovo arrestato e deportato in campo di concentramento a Saint-Jodart, nel dipartimento della Loire, e avrei dovuto essere trasferito in Africa; liberato dai Tedeschi rientro a Gap e riprendo contatto coi compagni francesi. Ho svolto diverse azioni armate; cioè, ho avuto per missione fra l’altro di far saltare trasformatori elettrici, negozi di esponenti fascisti. la sede della milizia, Pappartamento del capo della milizia; recupero di armi e munizioni.
Non ho fatto il servizio militare perché, essendo alFestero, non ero tenuto a rientrare in ltalia, ma nel 1938 ho fatto la preparazione militare fino a quando gli ufficiali francesi si sono accorti che ero italiano e mi hanno fatto capire che potevo essere una spia, quindi ho dovuto smettere.
Cominciando dal 1940, avevo contatti con diversi compagni del PCI, potevo quindi essere informato di quanto accadeva in Italia; dopo il 25 luglio 1943 un esponente del PCI, col nome di battaglia “Pietro“, chiese a me e a mia sorella di rientrare in Italia, dove c’era del lavoro che ci aspettava; nel mese di agosto siamo partiti e, dopo diverse peripezie accadute durante il viaggio, mia sorella si è fermata a Tabellano, in comune di Suzzara (Mantova), ed io a Luzzara (Reggio Emilia) dai nonni materni; li abbiamo svolto attività di propaganda in attesa di contatti, per ben cinque mesi.
Nella seconda quindicina del mese di gennaio 1944, abbiamo ricevuto l’ordine di recarci mia sorella a Padova e io a Vicenza.
Avendo appuntamento in un‘osteria vicino alla stazione, dovevo aspettare un contatto a un’ora determinata con in mano la “Settimana Enigmistica” come riconoscimento. Dopo parecchia attesa un compagno si è presentato chiedendomi di prestargli il mio giornale, si è seduto e abbiamo fatto una chiacchierata. lo aspettavo che se ne andasse, ma dopo un po’ mi ha dato la parola d’ordine; l’ho seguito ed abbiamo preso il trenino che ci portò a Fonte Abelina presso il compagno D’Ambros “Marco”; li ci hanno ristorati. Non ho mai saputo il nome del compagno che mi accompagno su. Dopo aver mangiato ci siamo messi in strada; è stato “Marco” ad accompagnarci a Campetto, eravamo circa in sei. Prima di arrivare su ci siamo fermati in una chiesetta e “Marco” ha parlato con il parroco, poi siamo arrivati a Malga Campetto, dove c’erano già diversi compagni, una decina circa.

Riguardo ai nomi, mi ricordo benissimo di “Pino”, “Oreste”; vi era uno che chiamavamo il “Fornaio”, ricordo che questo era un po’ sordo; non sapevo il suo nome di battaglia, finché poco tempo fa mi è risultato “Patata”. Dopo due o tre giorni dal mio arrivo è venuto un compagno e alla presenza di “Pino“ e “0reste“ ha preso i connotati di tutti i presenti, ma in separata sede.
ll nostro gruppo era comandato da “Pino“ e il commissario politico era “Oreste“; mi avete parlato di “Dante”, ma io non mi ricordo di questo compagno, forse è venuto su dopo di me. Devo segnalare e ricordare per quelli che erano lì in quel momento che nella prima quindicina di febbraio abbiamo avuto la visita di quattro o cinque persone che si dicevano in gita sportiva, invece erano fascisti, perché pochi giorni dopo abbiamo avuto il primo rastrellamento.
Qui ricordo un piccolo particolare: ero salito in montagna con le scarpe basse e facevo una fatica tremenda a camminare sulla neve; quando ho visto quei tizi cosi bene “scarpati” ho chiesto a “Pino” se potevo cambiare le loro calzature con le mie; mi ha risposto che non eravamo dei ladri e che le mie scarpe le avrei avute a suo tempo.
Quando la staffetta è venuta a segnalarci il rastrellamento e che i fascisti venivano su da due parti, “Pino” e “0reste” hanno formato due pattuglie, una composta da “Oreste, “Patata“, da me e diversi altri compagni. Abbiamo preso la mulattiera che si trova a sinistra dell’entrata della baita per portarci a circa mezz’ora di marcia; non ricordo il numero e il nome dei compagni che erano con noi siamo arrivati su una specie di pianura, abbiamo visto a circa 150 metri altre persone, non pensavamo che i fascisti fossero gi arrivati a quel punto: ci siamo avvicinati con cautela e, arrivati a circa 100 metri, abbiamo visto che portavano un bracciale; abbiamo compreso che erano i fascisti, ci siamo gettati a terra; non ricordo dove si trovavano i compagni in quel momento, ma mi sono trovato di fianco “Patata” e ci siamo messi a sparare; sempre sparando ci siamo messi in ritirata, chi da una parte, chi dall’altra; mi sono trovato davanti a una scarpata piena di neve, prima di me c’era già passato qualcuno di lì; mi sono messo il fucile tra le gambe e mi sono lasciato andare giù, ma data la ripidità del terreno, la neve e le mie scarpe che non aderivano al suolo, sono caduto sulla schiena, ho perso il fucile e le scarpe; continuavo a scivolare senza poter fare nulla; dopo una scivolata di circa 60 metri mi sono trovato di fronte a “Oreste” fermo contro le rocce. Vedendomi arrivare mi ha dato uno spintone che mi ha fatto balzare sul lato sinistro della mia corsa e ci siamo nascosti in un cespuglio. Così siamo rimasti il resto della giornata: la notte non potevamo muoverci perché non ci vedevamo, il giorno seguente neanche, perché i fascisti erano in agguato cercando sempre i compagni.
Dal nostro nascondiglio Ii vedevamo andare e venire; nel frattempo mi e venuta una gran febbre, mi ha preso perché i miei piedi cominciavano a congelarsi.
La terza giornata “Oreste” mi aiutò a scendere piano piano, mi ha nascosto in un capannone in mezzo al fieno, poi è andato a cercare aiuto; non so quanto tempo sono rimasto in attesa. poi finalmente è venuto un compagno a prendermi, mi ha portato giù in bicicletta; mi sono trovato in casa di “Marco“; in questa casa sono rimasto due mesi; quello che mi ha medicato era un compagno abbastanza anziano coi baffi bianchi; nel tempo che ero li a letto è venuta una signora; le avevano segnalato che in questo posto c’era un ferito; quando mi ha visto è scappata perché cercava suo marito.

Dopo essermi ristabilito, lasciando Fonte Abelina, sono andato a Vicenza dal compagno Capellaro, il quale aveva un piccolo negozio; sono andato da questo compagno perche’ sapevo che mio zio veniva sovente per contatti col PCI. Quando sono entrato nel negozio c’era una compagna che doveva portare dei pacchi al treno. Mi sono offerto di aiutarla, cosi abbiamo fatto, perche’ il treno per Recoaro era vicino alla stazione da dove dovevo partire per Mantova. Abbiamo consegnato i pacchi al capotreno, lei se n’è andata per conto suo ed io mi sono recato in stazione per prendere il mio treno, ma prima della partenza la polizia mi ha chiesto i documenti, chiedendomi chi era quella ragazza che avevano visto con me; io facevo finta di non capire, negavo tutto, dicevo loro che si sbagliavano; mi hanno chiesto di seguirli in questura. Li sono rimasto una quindicina di giorni; siamo stati messi a confronto io e la compagna nell’ufficio del commissario Polga, ma è stata bravissima, non ci siamo mossi. Mi hanno rilasciato e sono tornato a Suzzara (Mantova).

Nel Basso Mantovano ho organizzato e comandato il primo G.A.P. della provincia, ho partecipato all’organizzazione e ad azioni della 121‘ Brigata Garibaldi “Arrigo Luppi”, ho partecipato al comando della Brigata a fianco del Colonnello Valerio (Walter Audisio), sono stato vice e poi comandante della Brigata, poco prima della liberazione ho dovuto lasciare il comando perché attivamente ricercato.

Dopo la liberazione ho assunto diversi incarichi; sono stato in questura a Mantova, ma non mi piaceva; sono stato impiegato in municipio di Suzzara, ma non ero destinato a fare l’impiegato; mi sono sposato nel 1946 a Suzzara, poi sono tornato in Francia dove ho, assieme a mia moglie, fondato una bellissima famiglia composta di tre maschi, che a loro volta ci hanno dato sette bellissimi nipotini e ne siamo molto fieri e felici. Come sono fiero di aver svolto la mia attività nella Resistenza, di aver conosciuto uomini di grande valore; e sono molto contento quando posso incontrarmi coi compagni ex-partigiani, perché abbiamo svolto tutto questo con fede, ideali di libertà e onestà”.

“Carlo” compie frequenti viaggi in ltalia. Nel 1979 si e recato a trovare D’Ambros Giuseppe “Marco”. Nel 1985 è stato a Schio per la consegna della medaglia d’argento alla città e si è incontrato con Benetti Pietro “Pompeo“. Nel 1987, il 20 settembre, è stato presente a Valdagno per la consegna della medaglia d’argento per meriti partigiani al centro maggiore della Valle deIl’Agno; ha visitato pure la mostra della Resistenza curata da un gruppo di ricercatori delI‘ANPI di Trissino.

F.-GH

NOTA

ll “Fornaio” ‘di cui parla “Carlo” non è Albanello Lino “Cirillo-Patata” di Vicenza. ma Bortoloso Fiorindo di Poleo-Schio, detto il “Commissario” e il “Segretario”; nato nel 1918, era salito Con “Marte” da Poleo (dove faceva il fornaio) a Malga Campetto: “Patata” si è unito al gruppo di Malga Campetto dopo lo scontro del 16 febbraio 1944 cui non ha preso parte.

Il compagno Capellaro di Vicenza è Oddo Cappannari.