Il 31 ottobre ricorre il 78° anniversario dell’ eccidio di Mason Vicentino in cui caddero, vittime di tragica e fulminea violenza fascista, le fiorenti giovinezze di
- BRIAN ANDREA
- MARCHIORETTO ANTONIO
- MARCHI RENATO
- NOVELLO GUIDO
- PANOZZO ALDO
Orazione civile
Mason 30 ott. 2022
Non è raro sentire voci che esprimono riserve sulla opportunità di ricordare efferatezze ed eccidi di un passato ormai lontano.
Rispondiamo che rinnovare la memoria del sangue innocente versato non è solo un atto di pietà e di compassione verso le vittime, ma soprattutto un monito per le nuove generazioni perché si coltivi sempre il rispetto per la vita umana e per la pace.
Ci incontriamo dunque ancora una volta dopo 78 anni per onorare cinque giovani vite stroncate in modo cinico e spietato con una ferocia talmente inaudita, che pone la tragedia dei ragazzi di Maragnole fra le più crudeli dentro le innumerevoli stragi, che tra il 1943 e il 1945 videro morire tanti giovani Italiani desiderosi soltanto di vivere in pace e in libertà.
Chi legge il volumetto intitolato “Il pianto di Maragnole”, scritto nella immediatezza dei fatti da quel testimone privilegiato che fu il sacerdote don Giovanni Battista Faresin, prova ancor oggi a distanza di così lungo spazio di tempo un opprimente senso di impotenza e di dolore, o meglio un sentimento di rivolta dell’anima, che riapre ferite mai rimarginate.
Vi si legge l’angoscia stupita di un paese che all’alba del 31 0ttobre 1944 subì un barbaro rastrellamento nazifascista.
Sono le prime ore di un giorno qualunque della vita di una pacifica comunità di campagna.
La tragedia si profila quando, in rapida successione, una trentina di militi fascisti in pieno assetto di guerra irrompono nella
frazione e occupano il borgo.
Subito dopo sopraggiunge dalla piazza di Breganze, anche un camion di tedeschi, che in verità avranno un ruolo marginale
nella terribile vicenda.
Seguono assurde violenze e intimidazioni, perquisizioni, ruberie, interrogatori e arresti.
Il terrore si sparge in paese come un’onda malefica. Dapprima fu lo sconcerto, poi la paura, poi in un crescendo di tensione il dramma di ben 17 ragazzi caricati sui camion per una incerta deportazione e un altrettanto incerto ritorno, da ultimo la rivelazione tremenda dei veri propositi dei rastrellatori.
Per una volta sono gli italiani a superare in crudeltà i nazisti, mettendo al muro qui a Mason i cinque martiri: li fucilano, anzi li crivellano di colpi senza un processo, senza una imputazione, senza colpa alcuna, perfino negando un prete in extremis richiesto, senza dar loro il tempo di rendersi conto del perché erano costretti a morire.
Cadono:
- Andrea Brian classe 1920,
- Antonio Marchioretto e Renato Marchi classe 1925,
- Guido Novello classe 1922,
- Aldo Panozzo classe 1921.
Tragedia nella tragedia colpisce il destino di Aldo che, salvatosi per miracolo da 20 mesi di campagna di Russia, scampato al fuoco della katiuscia sovietica, al freddo glaciale e alla fame, trova la morte in patria per mano di italiani.
Nella mente degli assassini questi ragazzi dovevano pagare le conseguenze di fatti di sangue a loro ignoti e in particolare della scelta di non essersi presentati a servire il fascismo sotto le insegne di Salò.
Come Italiani, leggere oggi le testimonianze dell’epoca, è particolarmente doloroso, là dove l’ufficiale tedesco alla domanda del comandante della brigata nera sul da farsi risponde “Per me io li lascerei andare….” E si sente ribattere: “Eh no, troppo comodo, bisogna dare una lezione, ora sapranno se è meglio difendere la patria o fare gli imboscati”.
Dei 17 giovani arrestati quel giorno a Maragnole, nessuno aveva più di 25 anni: scene strazianti, pianto di mamme, suppliche vane: sono caricati in camion e strappati alle famiglie.
Qui a Mason, davanti al municipio, il carosello delle auto si ferma improvvisamente, cinque di loro vengono chiamati fuori, sono talmente lontani dall’idea di morire, che scendono perfino a cuor leggero, non possono pensare al peggio, il peggio non può appartenere a un comportamento da uomini.
Invece tutto questo è il rapido prologo di una altrettanto rapida quanto concitata esecuzione sommaria: quattro mitra sono spianati davanti ai ragazzi increduli, terrorizzati, inebetiti dalla enormità di una sorte assurda.
Partono le raffiche rabbiose, cadono i cinque in pozzanghere di sangue; chi ha ancora un barlume di vita e tenta di alzarsi viene finito a colpi di pistola.
Una donna del posto, la signora Maria Bassanese in Cusinato si fa avanti, sfidando l’ira degli assassini, conforta i moribondi e compone sulla nuda terra le salme.
La tragedia è compiuta e precipita come un macigno sulla incredula e sbigottita comunità di Maragnole.
Recenti approfondimenti storici hanno meglio illuminato la dinamica dell’accaduto, che ebbe un prologo in un grave fatto di sangue nel quale rimase coinvolto e ucciso l’agricoltore Francesco Azzolin; infatti il giorno precedente sul confine collinare fra Fara e Breganze due militi della brigata nera bassanese erano stati attaccati e uccisi da una cellula partigiana.
I due, diretti alla sua fattoria per acquistare del vino, erano rimasti con il camion in panne lungo la salita poco lontano dalla meta e avevano chiesto all’Azzolin un traino con i buoi per muovere il mezzo.
Francesco uscì di casa assieme ai militi, accompagnati da una terza figura, che poi si rivelerà essere un partigiano infiltrato nella brigata nera.
L’inatteso, violento fuoco incrociato purtroppo colpì a morte l’ignaro Azzolin, vittima innocente di un gesto di solidarietà che appartiene semplicemente all’antico e quotidiano costume di vita dei lavoratori della terra.
Pertanto è doveroso associare oggi anche Francesco Azzolin, onesto padre di famiglia, estraneo a qualsiasi responsabilità contingente, al ricordo dei cinque giovani di Maragnole.
Questi ragazzi avevano la vita davanti, avrebbero potuto farsi una famiglia, realizzarsi nel lavoro, essere cittadini attivi nella società, vivere il loro tempo: invece il piombo della follia umana aveva preparato per loro una fossa nella quale venivano sepolti e svanivano affetti, sentimenti, speranze, valori, ideali.
Con la inesorabile scomparsa dei testimoni e protagonisti, si conferma tuttavia l’impegno delle amministrazioni comunali di Breganze e di Mason affinché di questi martiri non resti solo un freddo nome sulla lapide posta sul muro, che vide spegnersi la loro vita.
Rimane così vivo il loro monito: ricordate e vigilate affinché quanto è successo non debba più ripetersi, fate in modo che il nostro sacrificio non sia stato inutile.
Certo la memoria non basta, se non è accompagnata da un quotidiano impegno individuale per la difesa della libertà e della pace. Soprattutto oggi nella complessa società moderna c’è bisogno di partecipazione, di disponibilità, di spendere almeno un po’ della propria intelligenza, del proprio tempo e delle proprie energie per il bene comune.
La Costituzione, nata dalla Resistenza, privilegia la pace e rifiuta la guerra come strumento di offesa; ma c’è anche una pace sociale interna alle nostre comunità e alle nostre famiglie, che deve essere salvaguardata.
Le guerre di ogni tempo, e quelle purtroppo attuali non fanno eccezione, sono state, sono e saranno origine e causa di altre guerre, lasciando ferite sempre pronte a riaprirsi
Invochiamo pertanto con forza la pace.
Per questo rivolgiamo ai Caduti e alle loro famiglie un pensiero di affetto, di grata riconoscenza e di solidarietà: la loro morte non è stata vana, nessuno infatti muore su questa terra finché vive nel cuore di un popolo.
Onore ai Caduti, viva la libertà. viva la pace.
Enzo Segalla
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