13 gennaio 2024: Commemorazione di Dino Carta a cura di Pietro Cestonaro

Orazione civile

Signore/i rappresentanti delle Istituzioni, delle associazioni combattentistiche, cittadine e cittadini, insegnanti e soprattutto parenti di Dino Carta, ragazze e ragazzi, studenti dell’Istituto “Rossi”, che ho avuto il piacere io stesso di frequentare, e del “Lioy”: voglio salutare tutti voi con grande affetto e portarvi i saluti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che qui rappresento e che ringrazio per l’opportunità offertami di parlare oggi a voi tutti.

Non è senza emozione che vi parlo, in quanto questa è la prima volta in cui mi è stata data la possibilità di tenere un discorso in una commemorazione che è, insieme a quella dei 10 Martiri, una delle più importanti per la nostra città.

Sarò sincero: non conoscevo bene la storia di Dino Carta e mi sono ritrovato a chiedermi se era giusto che fossi io a prendere parola per ricordare una persona che ha avuto un ruolo così significativo per la storia della Resistenza della nostra città. Però poi, e qui mi rivolgo soprattutto ai miei coetanei studenti, ho ragionato sul fatto che Dino Carta è morto appena 20enne, a due mesi dal suo compleanno. Quindi era uno di noi! Un giovane, come naturalmente ci definiscono le generazioni più anziane della nostra, un giovane con tutti i suoi sogni e i suoi desideri per il futuro, con le sue preoccupazioni e con tanti dubbi rispetto al domani al pari di noi. Dubbi che diventano ancora più intriganti quando si cresce in un contesto di guerra e fame ossia in situazioni che portano le persone a vedere un futuro tutt’altro che chiaro: ed è forse per questo che provo ammirazione e rispetto per Dino Carta e per altri nostri coetanei di allora che, nonostante la giovane età decisero di combattere per un mondo migliore che ancora non c’era, battendosi con le armi, sì, è vero, per averlo.

Dino, il partigiano che commemoriamo qui oggi, era nato il 2 Novembre 1924 a Vicenza dove trascorse tutta la sua breve vita. Era un ragazzo comune che, come molti suoi compagni del Patronato, amava giocare a pallone e lo faceva assai bene sin dall’infanzia. Fu proprio per questo che venne notato e portato a giocare nelle Giovanili del Vicenza calcio dove dimostrò buona attitudine e grande passione, nel ruolo di portiere che gli venne assegnato e che ricoprì con bravura arrivando a giocare in serie B. Il 5 maggio del 1944 esordì nell’ottava giornata del girone del Campionato Veneto, (dal momento che quello Nazionale era stato sospeso a causa della guerra). Inserito in prima squadra scese in campo nella partita tra il Vicenza e il Lanerossi di Schio, contribuendo con le sue parate a portare la propria squadra alla vittoria contro quella scledense per 4 a 1.

Nel frattempo, sempre nel 1944, era entrato in contatto con alcuni partigiani della brigata “Argiuna” appartenenti alla Divisione Vicenza che gli avevano chiesto, convincendolo, di arruolarsi nel Corpo della Polizia Repubblicana naturalmente come infiltrato allo scopo di poter avere notizie sull’attività delle forze fasciste e di quelle tedesche di occupazione per poterle meglio contrastare.

E in effetti per tutto il tempo trascorso nelle file della Polizia repubblichina Dino continuò a fornire informazioni fondamentali sui posti di blocco, sugli spostamenti della stessa polizia e sui rastrellamenti programmati dai nazifascisti riuscendo persino a recuperare e a occultare armi per i propri compagni, armi che permisero alla brigata “Argiuna” di compiere efficaci azioni di sabotaggio come quelle realizzate alla stazione ferroviaria, al distretto militare, all’aeroporto, sulle linee di comunicazione, contro le caserme, e i depositi nemici.

Il suo ruolo così particolare e già in sé pericoloso, diventò ancora più importante quando si insediò a Vicenza, un gruppo distaccato della “Banda Carità”, il famigerato reparto dei Servizi Speciali costituito a Firenze nel settembre dell’anno precedente.

Questo reparto aveva come scopo di investigare e reprimere l’attività partigiana in sostanza attraverso pestaggi ed esecuzioni sommarie come subito fece anche a Vicenza guadagnandosi una fama sinistra e realizzando quella che sarebbe stata chiamata dagli storici:

[…] l’opera forse più riuscita di contenimento e di contrasto del movimento partigiano in città e in provincia, naturalmente col sussidio delle peggiori torture e alle dirette dipendenze delle forze armate nemiche, ma senza mai trascurare ogni ulteriore eccesso di sadismo e violenza, che nel marzo 1945 costrinse fra l’altro le stesse autorità di Salò a inquisire i componenti della banda e a imprigionarli per alcuni giorni […] Il PM […] della Corte d’Assise Straordinaria di Vicenza nel processo intentato all’inizio di marzo del 1946 contro i membri della Banda Carità] avrebbe definito “imponente” il numero dei partigiani e dei resistenti che la squadra dell’UPI (Ufficio Polizia Investigativa) aveva messo fuori combattimento in pochi mesi dando luogo a vere e proprie azioni di guerra ossia imprigionando, uccidendo e facendo deportare i patrioti […].

Nel gennaio del 1945, peraltro, il doppio gioco di Dino Carta era stato infine scoperto dai suoi colleghi e segnalato alla Banda Carità che quindi lo convocava per un colloquio in via Fratelli Albanese -poco distante da dove ora ci troviamo- presso la sede di Villa Girardi, meglio conosciuta in città con l’appellativo di “Villa Triste” da quando la stessa Banda vi si era stabilita.

Qui Dino viene arrestato e sottoposto ad un duro interrogatorio, fatto di pestaggi e minacce, tra cui quella di farlo fucilare per tradimento e per aver infangato la divisa della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) che ancora indossava. I suoi inquisitori lo costringono a stare seduto, mentre la luce di una lampadina lo acceca, secondo la prassi degli interrogatori polizieschi.

Dino nota su di un tavolino vicino a sé una pistola probabilmente lasciata apposta incustodita e, in un momento di distrazione dei suoi aguzzini, la afferra e la punta contro i presenti. Loro alzano le mani e con un mezzo sorriso lo lasciano andare perché sanno che la pistola che impugna è priva di percussore e quindi inutile, ma fingono di ignorarlo e, per così dire, stanno al gioco. Ma il gioco si fa subito macabro perché Dino non se ne accorge e comincia anzi a correre. Dietro di lui si lanciano due dei suoi torturatori, Osvaldo Foggi e Pietro Zatti. Il primo (Foggi) prende una bicicletta e inizia a percorrere le stradine del circondario inseguendolo nella sua fuga. Dino, a causa del terreno ghiacciato e della neve di gennaio accumulata ai lati delle strade che tiene traccia dei suoi passi annaspa riuscendo a percorrere appena 800 metri giungendo così sino all’inizio di via Calderari -questa via-. Quando sente avvicinarsi l’inseguitore, per un momento si ferma, poi riprende il fiato e decide di reagire impugnando la pistola e cercando di sparare. Non sente però lo sparo, ma solo il rumore meccanico del grilletto. È in quel momento che si rende conto del crudele scherzo che i suoi carcerieri gli hanno giocato. E si ritrova inerme davanti ai suoi carnefici. Osvaldo Foggi, sceso dalla bici con un ghigno soddisfatto e spalleggiato anche da Piero Zatti, impugna la propria pistola e spara ripetutamente contro il giovane.

Dopo la guerra i due aguzzini vennero condannati a morte dalla Corte d’Assise straordinaria di Vicenza, ma più tardi vennero amnistiati e liberati.

Perché è importante ricordare ancora oggi il partigiano Dino Carta e tutti coloro che presero parte alla lotta di Liberazione? La risposta non è difficile da trovare, ma è soprattutto ai giorni nostri impegnativa.

Ricordare e scegliere cosa ricordare del nostro passato ci definisce infatti nell’oggi e comporta chiederci cosa vogliamo per noi. Ricordare Dino Carta quindi vuol dire scegliere gli ideali di Pace, di Libertà, di Democrazia, di Solidarietà, di Giustizia, di Tolleranza per cui sono morti lui e tanti altri partigiani: ideali e valori che non sono né scontati né gratuiti. Hanno bisogno di cura e attenzione perché si possa goderne ancora. 

Quando faccio questi discorsi ho sempre paura di risultare autoreferenziale e di inneggiare ai partigiani, sbrigativamente come a degli eroi. Insomma di sventolare in positivo una certa bandiera piuttosto che un’altra soltanto perché è la mia. Per molto tempo mi sono interrogato e sono rimasto dubbioso nel pensare cosa fosse bene e cosa fosse male in quegli anni. La verità è che la Resistenza, sostenuta dalla maggior parte delle popolazioni civili, è stata anche una durissima guerra, spesso senza esclusione di colpi e che ha generato violenza da tutti i lati come inevitabilmente fanno tutte le guerre. È anche giusto dire però che quella violenza fu necessitata e che i partigiani furono costretti a farne uso per affermare una libertà di azione e di pensiero negata dal regime di Mussolini. Chi non era fascista, a maggior ragione nella RSI, era minacciato e perseguitato.

Davanti poi alle riserve di molti scettici e alle critiche ciclicamente mosse alla Resistenza in quanto essa sarebbe stata un movimento minoritario, sostengo e sosteniamo che, visto l’orientamento in suo favore degli abitanti delle città ma anche delle campagne, fu vero semmai il contrario e che comunque sul piano concreto della lotta armata sono sempre delle minoranze attive a appassionate a trascinare a sé e a infiammare anche quanti galleggiano nel conformismo e nella rassegnazione. Il popolo Italiano visse stremato nei 600 terribili giorni compresi fra l’8 settembre 1943 e l’aprile del 1945 ma quello per la Liberazione del paese dal fascismo divenne un movimento di mese in mese sempre più diffuso che infine ottenne il sostegno da parte della stragrande maggioranza della popolazione, soprattutto nelle regioni del centro nord anche se forse non lo ricordiamo mai abbastanza. Quei valori che hanno portato la Resistenza a formarsi sono gli stessi che hanno consentito il varo, nel 1948, della nostra Costituzione, entrata in vigore allora e ancora valida oggidì perché risulta essere una sintesi sapiente di cultura, di etica e di diritto rappresentando al meglio la nostra Magna Carta delle libertà e dei principi di uguaglianza e di giustizia. 

Cito al riguardo le parole del nostro Presidente partigiano Sandro Pertini:

“Dietro ogni articolo della nostra costituzione stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza”: 45.000 per la precisione, senza contare invalidi mutilati e civili uccisi per aver aiutato i partigiani. La libertà fu conquistata, non regalata.

Ricordare oggi Dino Carta significa quindi onorare la Resistenza, 20 mesi durissimi tra l’8 settembre 1943 e fine aprile-primi maggio 1945, mesi di lotta per liberare l’Italia dal fascismo e dagli effetti di una cruenta guerra dalle cifre impressionanti nel quadro di uno scontro anche morale fra valori e disvalori. Fu un periodo così incredibile e straordinario, quello vissuto dai nostri partigiani, da imporci specie oggi rispetto nel ricordarla. Nei 20 mesi della guerra di liberazione gli italiani espressero cuore, orgoglio, dignità, spirito di sacrificio e voglia di riscatto.

Piero Calamandrei, insigne giurista e già membro tra il ‘46 e il ’48 dell’assemblea costituente nel 1955 scrisse parole ancora attuali: 

“La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta; la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”. Un richiamo esplicito “Odio l’indifferenza” di Antonio Gramsci.

E se è di attualità che dobbiamo parlare è bene ricordare a tutti l’episodio del 7 Gennaio, domenica scorsa, che ha visto la presenza di alcune centinaia di persone organizzate in modo para-militare che hanno ripetutamente alzato il braccio nel saluto romano in un tripudio di croci celtiche decisamente in contrasto con la legge Scelba, che sancì nel 1952 il “Reato di apologia al Fascismo” prescrivendo l’impossibilità della ricostituzione del partito fascista. La cosa preoccupante è che non sono stati presi provvedimenti adeguati né dalla polizia né dal Governo senza prendere le distanze da un palese reato come questo.

Ci tengo infine a dire anche due parole su una variante solo italiana del presidenzialismo. L’elezione diretta del capo del governo toglie potere al Presidente della Repubblica e soprattutto stravolge gli equilibri previsti dalla Costituzione. Il presidenzialismo all’italiana parente prossimo del fascismo punta a legittimare una pericolosa gestione autoritaria del potere come conseguenza dell’eccessiva concentrazione di funzioni nella persona di un Presidente del Consiglio scelto fra l’altro attraverso meccanismi elettorali e premi di maggioranza più che discutibili.

Non posso inoltre non ricordare le tragiche guerre che continuano in Ucraina e fra Israele e Palestina. Non è sufficiente il tempo che ho a disposizione per affrontare questi temi in profondità e per la delicatezza degli argomenti non lo farò. Mi limiterò a dire l’ovvio; ossia che la guerra distrugge e chi ne soffre di più sono sempre i civili. Mi auguro quindi che questi conflitti possano risolversi il prima possibile senza vincitori e vinti e soprattutto voglio credere che sia ancora possibile trovare soluzioni tramite il dialogo democratico anche se ho tremende preoccupazioni al riguardo. 

Mi voglio rivolgere infine agli studenti, del cui gruppo mi sento ancora di far parte, per ricordarci che noi abbiamo avuto una grande fortuna perché al contrario di Dino Carta non siamo nati in un regime totalitario; non dobbiamo impugnare un’arma per difendere le nostre idee e siamo abbastanza distanti dagli eventi drammatici del 1943-45 da poter chiamare Storia quella di quegli anni. A tutti vorrei ricordare che il primo aggettivo che descrive la Resistenza e la Costituzione è ANTIFASCISTA, a sottolineare il passaggio da popolo di servi e patroni a comunità di cittadine e cittadini che esprimono la loro libertà tramite la partecipazione pubblica. Non voglio fare noiose prediche, che certo non ci aiutano a convincerci, ma vi chiedo di provare ad avvicinarvi con senso di responsabilità politica a una storia che è di tutti noi.

E mi rivolgo in specie ai miei coetanei: avvicinatevi al tema con gradualità e curiosità. Avete a disposizione persino film come quello recente della Cortellesi “C’è ancora domani”, documentari, giornali, riviste e libri, molti libri: e allora frequentate biblioteche e convegni, “usate” i vostri professori che hanno il compito di arricchirvi. Arricchitevi sempre quindi, anche attraverso lo studio della nostra storia. Leggete libri stupendi come “I Piccoli Maestri”, “l’Agnese va a morire” di Viganò, “Il sentiero dei nidi di ragno” di Calvino, le opere di Beppe Fenoglio e ne ricaverete conforto, piacere e giovamento. Di più e di meglio non vi saprei augurare

Viva la Repubblica, viva l’Italia, la costituzione, viva la resistenza, viva la libertà

Pietro Cestonaro
Presidente Anpi Btg. Amelia

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