Vicenza, Celebrazione del 65° della Liberazione

Discorso ufficiale del professor Massimo Cacciari.

Vicenza, 25 aprile 2010, Piazza dei Signori

Grazie a tutti, cari amici. Grazie ad Achille Variati per le sue parole. Grazie a tutti gli ex colleghi sindaci e amministratori. Un saluto al Prefetto, un saluto a tutti voi.

Credo che uno dei motivi per cui noi dobbiamo ricordare il 25 Aprile – e molti, come diceva poco fa il vostro Sindaco, cercano di farcelo dimenticare – consiste nell‟opporci ad un fraintendimento possibile del significato fondamentale della festa della liberazione.

Fraintendimento che anche oggi trovo in certi commenti che interpretano il 25 Aprile come celebrazione di un fatto bellico, come si trattasse di una guerra e per certi versi della più orrenda delle guerre, una guerra civile.

Non è così. Certo, la Resistenza è stata anche confronto armato: per cacciare i nazisti e i fascisti dal nostro paese era difficile procedere per vie democratiche di discussione, penso che questo sia abbastanza semplice da capire. Ma la Resistenza è infinitamente di più di un confronto armato, è infinitamente di più di una guerra. Nella Resistenza, durante e prima della Resistenza, le forze migliori della politica e della cultura di questo paese, quelle stesse che fondamentalmente si ritroveranno nell‟elaborazione della nostra Costituzione – che è il prodotto maggiore della Resistenza e di quegli anni – si riunirono, si confrontarono, discussero, polemizzarono anche duramente, ed il centro della cosiddetta resistenza di quel periodo di guerra e di tragedia – una tragedia quale il nostro paese non ha mai conosciuto – lo troviamo nell‟elaborazione politica, nel confronto culturale, nella passione per le idee.

Durante la Resistenza non si sparò soltanto, si discusse ed io temo che le polemiche antiresistenziali rivelino un sottofondo veramente assai pericoloso, cioè l‟insofferenza per le idee, per la cultura, per il confronto sui contenuti, sui valori. Se si trattasse soltanto di ricordare un confronto armato, un insieme di vicende belliche, avrebbero ragione nel dimenticarli al più presto e nel farla finita con le commemorazioni. Ma invece il senso profondo del 25 aprile è proprio nel ricordare un grande confronto politico e culturale che iniziò anche prima della Resistenza vera e propria.

Iniziò immediatamente dopo la fuga vergognosa del re da Roma. Già pochissimi mesi dopo, ancora nel pieno della tragedia, con tre quarti del paese occupato dai nazisti, si incontrarono a Bari i rappresentanti e gli esponenti più importanti dell‟antifascismo italiano. Persone come Croce, come Sforza, come Omodeo, come Tommaso Fiore, il fiore dell‟antifascismo. Quelli che non avevano piegato il capo durante la dittatura si incontrarono già nel gennaio del ’44, e discussero – uso le parole di Benedetto Croce – della “costruzione morale e materiale italiana”, ovvero gettarono le basi di quel progetto comune che in buona parte informa di sé la nostra Costituzione, promulgata quattro anni dopo. Nel gennaio del ‟44 ce n‟era già un germe importante, discusso ed elaborato da persone del calibro di Benedetto Croce.

La Resistenza va ricordata soprattutto per questo: per quel grande progetto, per quel sentire comune, per quella volontà di ricostruzione oltre la tragedia che il paese stava attraversando. Certo che, piaccia o no – e dobbiamo saperlo riconoscere – le maggiori e lungimiranti costruzioni politiche, come quella rappresentata dalla nostra Costituzione – sono spesso figlie di grandi crisi e di grandi tragedie.

E la sfida che oggi ha di fronte l‟Italia e sulla quale dobbiamo impegnarci è quella di una grande ricostruzione morale e civile del nostro paese, evitando crisi e tragedie.

I padri fondatori della nostra repubblica intesero la grande tragedia, mondiale e italiana, di quel periodo non soltanto come qualcosa di cui soffrire, di cui patire e tanto meno la vollero sfruttare a vantaggio dell‟uno o dell‟altro, ma come una sfida ricostruttiva sul futuro. Una sfida ricostruttiva – e quindi non anti e contro qualcosa che andava dissolvendosi anche per contro proprio – nella quale impegnarsi per rinnovare moralmente e politicamente il paese. Ragionavano, discutevano, elaboravano proposte, intendendo non soltanto abbattere il regime precedente ma soprattutto che cosa mettere al suo posto. Ed è così che deve ragionare il politico: quale costruzione politica e morale, quale cultura, quali idee debbono orientare il futuro.

Quando le tragedie vengono affrontate in tal modo, allora noi siamo di fronte ad una classe politica, ad una classe intellettuale, ad un insieme di cittadini che davvero sentono la preminenza del bene comune. Poi all‟interno di questo sentire comune ci possono essere differenze, ci possono essere polemiche, ma se prevale la volontà comune di affrontare ogni crisi, ogni contraddizione con l‟idea di costruire il futuro, di fare il futuro, allora le polemiche, le discussioni sono tutte positive come furono positive quelle avvenute nel ‟46 e ‟47 durante i lavori della Costituente.

Nel periodo di transizione che ha preceduto la nascita della nostra Costituzione, quando l‟Italia era alle prese con gli enormi problemi della sua ricostruzione materiale e portava ancora i segni di tante distruzioni, quante conquiste fondamentali sono avvenute: dal voto alle donne all‟abolizione della pena di morte, grandi conquiste politiche e civili. Questo ci dice che ci fu, a partire dalla Resistenza un tragitto positivo, costruttivo, politico nel senso migliore del termine, che informa di sé tutto quel periodo che conduce alla grande svolta rappresentata dalla nostra Costituzione.

I muri maestri della nostra Costituzione, diceva Calamandrei e mi piace citarlo, reggeranno perché il popolo italiano li ha cementati con le sue lacrime e con il suo sangue.

È strumentale questo? Sto speculando su qualcosa ricordando le parole di Calamandrei? E che cosa sono questi muri?

Veniamo all‟aspetto più positivo che emerge da questa visione dinamica, costruttiva della Resistenza che, ripeto, ha prodotto la nostra Costituzione. I muri maestri non sono nulla di rigido, nulla di fisso e di incrollabile. Non sono una gabbia, una prigione questi muri.

Il vero fondamento della Costituzione è proprio il suo carattere dinamico, progressivo, aperto. È una Costituzione che spinge tutti noi, ricordiamola così la Resistenza, verso il positivo: non solo resistere contro qualcuno o distruggere qualcosa, ma soprattutto fare qualcosa, progettare qualcosa per il bene del paese. È una Costituzione che spinge tutti noi a farci responsabili della sua progressiva attuazione, che ci invita esplicitamente a lottare perché le sue idee guida, le sue norme, le sue potenzialità siano quotidianamente sviluppate. In questo senso va interpretato quel manifesto, “Resistenza sempre”, che vedo in mezzo a voi. Resistenza sempre vuol dire lottare sempre per l‟attuazione della nostra Costituzione.

Sono solo parole quelle della nostra Costituzione?

Leggiamo, ad esempio, l‟articolo 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Badate, non è scritto che la Repubblica promuove (o verbi simili che indicano un proponimento), è scritto che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono il libero sviluppo della persona umana. È scritto che non c‟è libertà sostanziale se non vengono eliminati gli impedimenti che rendono di fatto impossibile la realizzazione della libertà; della libertà di fatto, sostanziale e non solo formale.

Nessun formalismo, nessun vuoto “dover essere” sta nella nostra Costituzione.

Guardiamo ancora, ad esempio, gli articoli 4 e 9, il primo che riconosce a tutti in cittadini il diritto al lavoro, il secondo che indica come compito della Repubblica lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Ecco, la Costituzione indica alla nostra Repubblica il dovere di promuovere effettivamente la persona in tutte le sue dimensioni, e qui c‟è un eco del pensiero cristiano che risuona nel dettato costituzionale. Deve promuovere la persona attraverso il riconoscimento di precisi diritti che vanno attuati mediante leggi e mediante politiche.

Badate, non c‟è costituzione europea occidentale che presenti questi principi in forma così tassonomica, cioè come un compito imperativo per l‟ordinamento statale, un “essere” e non un “dover essere”.

Allora ciò che dobbiamo chiederci – noi se vogliamo che quel cartello “Resistenza sempre” abbia un senso non celebrativo, non di memoria, ma di impegno, di responsabilità, di dovere per ognuno di noi – se, ad esempio, per i giovani meritevoli nei loro studi è stata applicata la Costituzione?

Sapete che io insegno, ed alla domanda se la nostra scuola sia o non sia ancora una scuola preminente classista, rispondo: per me sì. Invece nella nostra Costituzione è scritto che compito dello Stato è portare i giovani meritevoli ai massimi livelli negli studi, indipendentemente dalle loro condizioni materiali. Per i disoccupati senza colpa, altra domanda, facciamo tutto quello che dobbiamo fare per rispettare il dettato costituzionale? I disoccupati attuali senza colpa hanno tutta la protezione che dovrebbe essere resa loro, in base alla Costituzione?

E potrei continuare: la discriminazione femminile, le altre discriminazioni, i giovani che non riescono a formarsi una famiglia: stiamo rispettando ed attuando quanto prescrive la Costituzione del 1948?

Guardiamo alle questioni economiche, ai rapporti economici, oggetto del fondamentale Titolo Terzo della nostra Costituzione, oggetto che non è presente in forma così netta e chiara in nessuna costituzione occidentale.

La proprietà privata, è un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione. L‟iniziativa privata è libera, ma la Costituzione, dopo aver affermato questo, aggiunge che “non può svolgersi in contrasto con l‟utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Ovvero: la mia proprietà è libera, ma la mia proprietà mi obbliga a lavorare in modo tale da collaborare, da partecipare ad un fine collettivo di promozione della dignità umana.

Principi che vi sembrano superati? Vi sembra che abbiamo realizzato tutto ciò?

La nostra Costituzione è dinamica, aperta, invita a fare le riforme. Così come la Resistenza, anche nella sua dimensione armata, non aveva finalità di tipo negativo o di tipo conservativo, ma intendeva costruire in positivo un futuro diverso dal passato. E la Costituzione è il prodotto primo della nostra Resistenza.

Proprio perché la nostra Costituzione è dinamica, aperta, progressiva, essa invita tutti noi a concepire come nostro primo dovere la continua piena attuazione del dettato costituzionale e lo sviluppo delle sue potenzialità. Ci invita ad essere davvero i suoi veri custodi.

Non è tanto la Corte Costituzionale che deve custodire la lettera della Costituzione. Custodi della Costituzione, rispettandone il suo senso profondo, sono tutti i cittadini che devono agire, lottare perché essa venga sempre più promossa e largamente attuata e sviluppata.

In questo stanno principi di straordinaria novità, anche dal punto di vista del diritto costituzionale. Questo dobbiamo cercare di capire e allora, il 25 aprile, altro che mera celebrazione di ricordi o di fatti d‟arme, è invece assunzione di impegni, di responsabilità, risposta al dovere per tutti noi di agire concretamente sulle questioni che ho prima ricordato.

Veniamo all‟ultimo punto, alla questione che forse è più dolente, ma che ci deve impegnare forse di più. Proverò a dirne il perché.

La Resistenza – ha detto poco fa il sindaco Variati, l’amico Achille – non è un fatto individuale e neanche genericamente un fatto di popolo. È un prodotto di organizzazione, è un prodotto di forze politiche che si incontrano, si confrontano, che danno vita a organismi unitari, che sanno costruire fecondi compromessi le une con le altre.

Politica è anche questo, ricerca di un compromesso utile al paese. Da quando mai, in politica, “compromesso” è un termine negativo? Cosa si deve fare in politica se non discutere, confrontarsi per poi cercare un accordo utile al bene comune, al sentire comune?

Questa visione della politica è stata ben presente nella Resistenza, con la capacità, l‟intelligenza politica, la lungimiranza di trovare i tratti comuni, di mettere, quando occorreva, tra parentesi i tratti divergenti. La politica è necessariamente questo quando ha un grande obiettivo da realizzare. Quando si hanno soltanto poltrone da spartire, allora sì la politica fa bassa cucina, fa casini. Quando ha grande obiettivo da realizzare, essa ricerca l‟accordo, il compromesso utile al paese tra forse diverse.

Sia la Resistenza che la Costituzione sono il frutto di forze politiche organizzate, che si sono incontrate, hanno ragionato, discusso. Rileggetevi gli Atti dell‟Assemblea Costituente. Certo, centinaia e centinaia di pagine, perché numerose sono state le sedute dell‟Assemblea, migliaia le proposte presentate e gli emendamenti discussi. Gli Atti riportano discussioni di ore, alla faccia di chi dice che la discussione fa perdere tempo. Ma quelle discussioni di ore e ore sono state indispensabili per confrontare e vagliare posizioni tra loro molto diverse, divergenti anche da un punto di vista ideale, e per trovare alla fine un accordo sostanziale. Non un accordo qualsiasi, non un compromesso al ribasso, un accordo che ha fatto sì che la nostra Carta costituzionale sia la più avanzata dei paesi occidentali, la più aperta, la più progressiva. Questa grande Carta costituzionale è stata prodotta attraverso una discussione ed un confronto di alto livello, e ciò è stato possibile perché c‟erano grandi forze politiche organizzate indispensabili in democrazia.

Non si fa politica da soli, non si fanno Costituzioni di tale lungimiranza da soli, non si fa la Resistenza da soli.

L‟organizzazione politica non può perdere di vista la sua missione che è appunto promuovere dinamicamente nel nostro paese i diritti costituzionali. Guai quando l‟organizzazione politica diviene fine a sé stessa, guai se da servizio al paese diviene ricerca e sfruttamento della ricchezza e mortificazione dell‟intelligenza e del bene comune.

Che cosa ha messo veramente in difficoltà la nostra Costituzione? È stata la crisi dei soggetti politici organizzati che avrebbero dovuto promuoverne le sue grandi potenzialità attraverso leggi e programmi ad essa coerenti. Sono convinto di ciò.

Partiti, forze politiche, organizzazioni politiche – chiamatele come volete – del tipo di quelle che hanno dato vita alla nostra Resistenza, alla nostra Costituzione, avrebbero certamente potuto, anzi dovuto, modificare parti del testo costituzionale, modificarle per meglio adeguarle proprio alle istanze, ai problemi di fondo che ho prima richiamato, modificarle per fare della nostra Costituzione qualcosa di ancora più fedele a sé stessa, perché un organismo come la nostra Costituzione è vivo e vitale perché si sa anche trasformare, perché si sa anche promuovere e sviluppare in base ai principi che prima ricordavo.

In questi anni, invece, abbiamo avuto un conflitto tra le forze politiche, bloccato dalla contrapposizione tra una visione sbagliata della nostra Costituzione, cioè una visione conservatrice che non risponde alla sua essenza dinamica ma fa a pugni con essa, ed una visione che intende rinnegare la Costituzione nei suoi principi positivi, di garanzia, di pluralismo autentico dei poteri, di sviluppo dei diritti.

Siamo stati bloccati tra Scilla e Cariddi e dobbiamo uscirne.

Basta con questi conflitti che fanno male al paese e ne impediscono la trasformazione.

Occorre andare ben oltre le modifiche costituzionali di questi anni che secondo me hanno peggiorato, non migliorato, la Costituzione con articoli ed emendamenti articoli che l‟hanno appesantita, per non dire sfibrata. Paragonate l‟alto livello, anche letterario, della nostra Costituzione, così incisivo, vibrante, sobrio, essenziale, con gli articoli e gli emendamenti aggiunti in questi anni: verbosi, prolissi, incerti. Lo si vede a occhio nudo: è come se sopra questa splendida basilica del Palladio ci si mettesse un giardino pensile con i nanetti.

La nostra Costituzione per essere fedele a sé stessa ci chiama a trasformazioni. Ci chiamava, ci chiama e ci chiamerà, voglio sperare, ad una revisione secca, sobria, essenziale, chiara, la quale dichiari che l‟Italia è Repubblica, una e federale.

Ma sul federalismo occorre intendersi bene. Il federalismo è essenzialmente sussidiarietà; e sussidiarietà significa autogoverno dei cittadini, a partire dalle loro organizzazioni di base e dagli enti territoriali ad essi più vicini.

Federalismo non è la moltiplicazione dei centri di potere e di spesa; non è avere, invece che una sola capitale, Roma, venti capitali.

Non è quello il federalismo. Federalismo è promuovere l‟autonomia dei cittadini, far valere effettivamente il principio di sussidiarietà. È certamente anche superamento del bicameralismo all‟italiana, è riduzione del numero dei deputati, eccetera, eccetera. Va definito con pochi principi chiarissimi, chiarissimi come quelli che informano nei suoi principi fondamentali la Carta costituzionale del 1948.

Questo dobbiamo fare, questo dobbiamo cercare di realizzare essendone responsabilmente protagonisti, non chiedendo ad altri di farlo ma muovendo dalle nostre istanze di base, dalle nostre associazioni, dal nostro volontariato, per creare le condizioni etiche, morali, culturali perché avvenga questa trasformazione.

Siamo noi i responsabili di fare organizzazione politica, associazione politica degna della Costituzione, degna della Resistenza e della Costituzione, nesso assolutamente inscindibile come ho cercato di dire. Essere noi responsabili nei suoi confronti per creare appunto associazioni politiche e uomini politici che siano davvero all‟altezza dei nostri padri costituenti. O sarà così o temo che il nostro paese passerà da crisi a crisi, da emergenza a emergenza, da transizione a transizione.

Dall‟Italia ed in particolare dalle nostre città deve partire un autentico disegno federalista. Non c‟è federalismo senza autonomia piena delle comunità originarie che in Italia non sono, con tutto il rispetto che ho per loro, né le province, né le regioni, ma le città. O sarà così oppure vivremo a lungo tra crisi ed emergenze.

L‟Italia ha un passato, come quello che oggi celebriamo, che è portante. Che è all‟altezza di ciò che ho cercato di illustrarvi parlando di Resistenza e di Costituzione. E se l‟Italia ha questo passato, noi abbiamo la responsabilità di ricordarlo, di meditarlo, di farne oggetto di riflessione. È bene, ripeto, ricordarlo, ma è bene soprattutto portarlo nel nostro cuore e nella nostra intelligenza, in tutto ciò che facciamo, dovunque lo facciamo.

Viva il 25 Aprile.