I DEPORTATI POLITICI

Ci dimentichiamo sovente che la Resistenza è stata europea; che noi italiani fino al 1943 (e con la RSI fino al maggio 1945) siamo stati alleati della Germania nazista e siamo veramente diventati “europei” solo con l’inizio della nostra Resistenza. La Resistenza, prima di noi, l’ha “inventata” l’Europa. Alla lotta di Liberazione hanno partecipato tutti: gli antifascisti, gli intellettuali, le donne, gli artigiani, gli operai, i contadini, i partigiani, perfino i renitenti e i disertori.

Ma chi, forse, ha sofferto di più sono stati i “deportati” nei lager nazisti. Permetteteci allora, in occasione del 75° Anniversario della Liberazione, di omaggiare la categoria dei “deportati politici”, composta dalle persone che con le proprie idee o con le azioni si sono opposti più o meno clandestinamente ai nazifascisti. A questa categoria la Provincia vicentina ha dato molti cittadini, che bisognerà prima o dopo elencare con precisione e ricostruirne la storia personale.


La “macchina della deportazione” nazifascista architettò con precisione teutonica il sistema di “pulizia” etnica, politica, sociale e confessionale, imposto a tutta l’Europa e perciò anche all’Italia occupata (1943-1945). Per chi manifestava posizioni ostili si aprivano le porte delle carceri, da dove molti furono “deportati” nei campi di concentramento KL (Konzentrationslager) o negli VL (Vernichtungslager: campi di sterminio, ben diversi dagli “Arbeitslager” riservati, per esempio, agli IMI e ai “coatti”), disseminati nei territori del Terzo Reich.
I KL (Konzentrationslager) erano, in estrema sintesi, luoghi ove s’imponeva sempre più duramente il principio dello sfruttamento dei prigionieri come “forza lavoro” sino al limite delle possibilità umane e frequentemente fino alla morte (la percentuale dei deceduti variò di molto tra i vari KL).

I Campi di sterminio (Vernichtungslager) erano luoghi situati nei territori dell’Europa dell’Est occupata dai nazisti e destinati all’eliminazione fisica su scala “industriale” dei prigionieri, lager verso i quali dall’autunno del 1941 fu organizzato il trasporto su ferrovia e poi messo in atto l’eliminazione di massa degli ebrei tramite le camere a gas (l’Endlösungder Judenfragee: la soluzione finale, decisa nella conferenza di Wannsse del 20.1.42). Nei VL, oltre agli ebrei, morirono zingari, Testimoni di Geova, prigionieri di guerra russi e slavi, e altri definiti dai nazisti “Lebensunwerters Leben” (“individui la cui vita è indegna di essere vissuta”). I VL furono 8: Maly Trostinec/Trostenec (Bielorussia, dal nov. 1941), Jungfernof (Lettonia, dal 3.12.41), Chelmno (Polonia, dal 8.12.41), Belzec (Polonia, dal 15.3.42), Sobibor (Polonia, dal 7.5.42), Treblinka T2 (Polonia, dal 1.6.42), Majdanek ( Polonia, dal 1.11.41), Auschwitz II-Birkenau (Polonia, dal 26.11.41).
Nei lager i “deportati” erano classificati in base alla tipologia di appartenenza (ebrei, zingari, Testimoni di Geova, asociali , omosessuali, politici, emigrati e criminali comuni ) e contraddistinti da simboli applicati sulla “divisa” e da un numero. Chi era ritenuto “pericoloso” e “ostile” fu contraddistinto con il “triangolo rosso”, che identificava i “deportati politici”, schedati e registrati nei campi di concentramento con sigle o acronimi, di cui riportiamo, con specifico riferimento agli italiani, quelli maggiormente utilizzati: erano definiti “Schutz” (Schutzhäftlinge) i deportati per motivi di “sicurezza”; “Pol.” (o “Ph”: Politisch) gli oppositori politici e antifascisti, ma anche, con minore frequenza, chi era arrivato nei KL con motivazioni diverse, come gli “AZR” (Arbeitszwang Reich: lavoratori forzati, condannati per reati di lieve entità), e come gli “ASO” (Asozialer: soldati italiani delle Regie FF.AA. detenuti all’Armistizio nel Carcere militare di Peschiera del Garda).

Anche dei “Kriegsgefangenen” (prigionieri di guerra italiani catturati dopo l’8 settembre 1943) finirono sovente e per diversi motivi nei Lager della SS (KL), soprattutto a Dora Mittelbau; anche “ZA” (Zivilarbeiter: italiani emigrati in Germania dal 1938 in poi per accordi Mussolini-Hitler e impossibilitati a rientrare dopo il 25.7.43); perfino “lavoratori coatti” trasportati in Germania dopo l’8 settembre 1943. Infine, furono sottogruppi dei “deportati politici” anche i cosiddetti “NAL” (Nichtausdem Lager): persone che non dovevano essere trasferite in altri KL o Auβenkommando perché sottoposti a strettissima sorveglianza (i “Schutz/NAL”).


L’individuazione dei “deportati politici” italiani è possibile grazie alla consultazione di 2 testi fondamentali: a) la Ricerca del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino, diretta da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia e promossa dall’ANED (Ass. Naz. ex Deportati), pubblicata ne Il libro dei deportati (Milano, Ugo Mursia Ed., 2009; b) la ricerca di Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano (Milano, Ass. Culturale Mimesis, 2004-2005) sui “deportati” fermatisi a Bolzano. Ne Il libro dei deportati (2.552 pp. su 3 tomi) sono riportati 23.826 nomi di italiani, frutto delle più recenti ricerche (anche se, come precisato dagli stessi Autori, non esaustive), talvolta, purtroppo, con dati biografici incerti o errati (non per colpa dei Ricercatori).


Altre preziose fonti per individuare i “deportati politici” italiani e vicentini sono: a) il Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” (n. 130 del 22 maggio 1968), che riporta gli “Elenchi nominativi delle domande accolte per gli indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste di cui alla legge 6 febbraio 1963, n. 404”; b) l’“Arolsen Archives, International Center on Nazipersecution”, sito in Germania a Bad Arolsen, utilizzando sia il sito web (https://arolsen-archives.org/en/) che il loro mastodontico Archivio fisico; c) per i “deportati politici” vicentini il “Libro matricola” del carcere di San Biagio di Vicenza, da dove molti di costoro furono prelevati per essere avviati ai lager; d) il fascicoletto, pubblicato nel ventennale della Resistenza (1965) a cura dell’ANDP-Sezione di Vicenza con i nomi dei Caduti vicentini a Mauthausen, Dachau, Bergen Belsen, Gross Rosen, Lande (?), Ludwigshafen (?), Ravensbruck, Bolzano, Buchenwald, Flossenburg (165 nomi).

Molti “deportati” non furono partigiani veri e propri, ma “antifascisti”, “renitenti” o “disertori”, riconosciuti come “partigiani combattenti” dal DLL n. 518 del 21 agosto 1945. I nazifascisti (e in questo caso vorremmo dire che, una volta tanto, avevano visto giusto!) trattarono gli antifascisti, i “renitenti” e i “disertori”, solitamente disarmati, da veri nemici … come i patrioti armati: in effetti anche loro erano “antifascionazisti”, che volevano la fine della guerra e un’Europa libera dalla lebbra nazista.
Quanti potrebbero essere stati i “deportati politici” vicentini? Fonti diverse indicano una cifra a cavallo delle 300 unità. Noi tutti a loro dobbiamo molto!

Benito Gramola – Danilo De Zotti