78° Anniversario dei Sette Martiri

A nessuno è dato dimenticare la lezione di civiltà che la storia ha qui impresso nel sangue e nel sacrificio

3 luglio 1944

Ferruccio Baù
Antonio Bietolini
Marino Ceccon
Virgilio Censi
Alfeo Guadagnin
Francesco Rilievo
Pasquale Zordan

vennero fucilati dai nazifascisti

L’amministrazione comunale di Valdagno
Anpi Valdagno
AVL
Associazioni Combattentistiche e d’Arma

Domenica 26 Giugno 2022

  • ore 10:00 raduno partecipanti al monumento dei Sette Martiri
  • 10:45 Scuola Elementare di Ponte dei Nori: Orazione ufficiale

La cittadinanza è invitata ad intervenire ed ad esporre il tricolore rispettando le normative anticovid in vigore

 



ORAZIONE DEI SETTE MARTIRI

di Michele Santuliana

Signor sindaco, parenti delle vittime, autorità civili e militari, amici del complesso strumentale, cittadine e cittadini e in particolare ragazze ragazzi presenti: a tutte e tutti voi il mio saluto personale e dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Invitato dalla sezione di Valdagno, torno dopo pochi anni dalla prima volta, nel 2018, a fare memoria con voi dei nostri “Sette Martiri”. E dico nostri non soltanto per il legame che mi unisce a Valdagno, città medaglia d’argento per la Resistenza e città in cui lavoro; nostri perché quello che i Sette Martiri hanno lasciato è un lascito che travalica i confini e che tuttavia spinge una comunità a riunirsi per ricordarli e per fare proprio il loro messaggio, nel presente e nel futuro da costruire insieme. È questo – non mi stanco mai di ripeterlo – il significato del commemorare; non una cerimonia che si ripete ma un’occasione per ribadirci gli uni con gli altri la direzione da prendere, una direzione orientata da chi, 78 anni fa, affermò con la propria vita la parte della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e della solidarietà.

Oggi vorrei rivolgermi in particolare ai giovani presenti, immaginandoli come gli adolescenti di cui ogni mattina, da settembre a giugno, incontro gli sguardi, ascolto le voci e scruto i gesti. A voi, ragazze e ragazzi, vorrei rivolgere le riflessioni a partire dal ricordo dei sette che oggi commemoriamo e che sono divenuti testimoni – questo il significato della parola ‘martire’. Sette uomini che furono fucilati dai nazifascisti il 3 luglio 1944 a pochi passi dal monumento davanti al quale è iniziata la nostra cerimonia.

  • Ferruccio Baù, di Valdagno, classe 1908, era un commerciante. Si era fatto notare come antifascista nel luglio 1943, quando aveva gettato dal balcone del municipio la foto di Mussolini, deposto e arrestato pochi giorni prima;
  • Virgilio Cenzi, classe 1896, era un militante del PCI e sostenitore del movimento partigiano: faceva il falegname alla manifattura della Marzotto;
  • Antonio Bietolini, classe 1900, era meccanico; politicamente era un militante comunista di lungo corso, arrestato più volte nel corso del ventennio e costretto a scontare sette anni di Confino alle isole Tremiti. Dal febbraio 1944 dirigeva la federazione vicentina del PCI;
  • Alfeo Guadagnin, classe 1899, era un socialista bassanese di lunga militanza, di professione noleggiatore d’auto, animatore della Resistenza nel Bassanese. L’arresto lo colse mentre si trovava a Valdagno per incontrarsi con l’amico Ferruccio Baù;
  • Marino Ceccon, classe 1912, comunista, era operaio agli stabilimenti “Marzotto”;
  • Pasquale Giovanni Zordan, valdagnese, soprannominato “Nani Sette”, classe 1908, era anche lui comunista, attivista nella fabbrica “Marzotto”;
  • Francesco Rilievo, classe 1919, operaio alla “Marzotto”, non aveva legami con l’attività politica clandestina né con la Resistenza, fu arrestato semplicemente perché cognato di Giovanni Zordan.

A questi sette uomini, come sappiamo, doveva aggiungersi Raffaele Preto, di 24 anni, di professione calzolaio, membro della Resistenza, che riuscì invece a scampare alla fucilazione attraverso una fortunosa fuga e fu poi partigiano. Gli altri furono uccisi perché antifascisti nel corso di una rappresaglia che aveva il duplice scopo di colpire l’attività clandestina e terrorizzare la popolazione. Nessuno di loro aveva a che fare con lo scontro fra tedeschi e partigiani avvenuto il 30 giugno precedente e che fu addotto a motivazione della rappresaglia. Ma questa era la prassi dei nazifascisti: la rappresaglia serviva a terrorizzare la popolazione e a spingerla a rifiutare l’appoggio che essa dava ai partigiani.

Ma fermiamoci a riflettere un istante sulle parole: nazifascisti, partigiani, antifascisti, rappresaglia sono infatti parole che ci suonano strane oggi, così distanti dal nostro eterno presente. Allora cerchiamo di fare insieme un passo indietro per tornare alla Valdagno di 78 anni fa.

Perché, ragazze ragazzi, 78 anni fa qui come nel resto del nord Italia, non c’era la libertà di cui oggi noi godiamo i frutti, spesso dimenticandoci di chi la conquistò; 78 anni fa anche solo uscire di casa per comperare quel poco che il razionamento dei viveri consentiva era un’azione che poteva costare la vita. Valdagno pullulava di soldati e poliziotti della RSI, lo stato fantoccio che dopo l’8 settembre 1943 era stato costituito da Mussolini per continuare la guerra a fianco della Germania nazista. E tutto ciò avveniva dopo vent’anni di dittatura fascista: una dittatura che aveva abolito la libertà di parola, di stampa, di riunione, che aveva sciolto tutti i partiti tranne quello fascista così come i sindacati, che aveva educato un’intera generazione non a pensare con la propria testa e a sentire col cuore ma a “credere, obbedire e combattere” praticando l’insulto sistematico dell’avversario, propugnando il nazionalismo e il razzismo e affermandosi grazie alla violenza e all’uccisione degli avversari. Nomi che ancora una volta ci sembrano lontani, benché essi siano spesso presenti sui cartelli delle vie nelle nostre città: Piero Gobetti, Antonio Gramsci, don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, i fratelli Carlo e Nello Rosselli, per citarne solo alcuni.

Eppure, nonostante la violenza che il regime fascista aveva elevato a sistema di potere ci fu chi si oppose. Sei di coloro che furono fucilati, come avete sentito, partecipavano alla vita politica clandestina. Si erano interessati, avevano vinto l’indifferenza per cercare di fare qualcosa. E non soltanto per loro, ma anche per gli altri. Questa, ragazze e ragazzi, è una grandissima lezione. La libertà per quanti aderirono alla Resistenza non era soltanto, come spesso oggi la intendiamo, di libertà di fare e di essere, ma era molto più complessa. I partigiani e le partigiane combattevano anzitutto per una libertà da: dal fascismo e dall’occupante tedesco; ma anche una libertà di: cioè di essere, fare, creare, in pace; infine, e mi preme ricordarlo, la Resistenza propugnava una libertà con: cioè con gli altri, da vivere e condividere partecipando alla vita della società, attraverso diritti ma anche doveri, cercando di costruire un mondo, come recita una celebre canzone scritta da Italo Calvino, più umano, e più giusto, più libero e lieto. Sì, anche più lieto, intendendo ancora una volta la felicità come traguardo collettivo, non soltanto individuale.

E dall’altra parte invece? Per cosa combattevano i nazifascisti? Vi rispondo ancora con le parole di Calvino, questa volta tratte dal suo romanzo d’esordio, Il sentiero dei nidi di ragno. Le pronuncia Kim, un comandante partigiano:

C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro […] va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti; degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi.

Questo slancio, questo desiderio di cambiare il mondo è proprio di ogni nuova generazione di giovani, ma nella generazione che aderì alla Resistenza ha dato frutti che non temo di definire eccezionali. Ma ci pensate? Erano cresciuti con una sola idea, spesso non avevano fatto che poche classi a scuola, eppure scelsero, e rischiando la vita. Erano, utilizzando un’espressione di un grande scrittore vicentino (e partigiano), Luigi Meneghello, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita, «apprendisti italiani».

E noi? Oggi spesso dimentichiamo che la libertà, come la democrazia, non è una conquista definitiva. Essa va costantemente alimentata. Come? Attraverso l’interesse, lo studio, la cura, la partecipazione alla vita sociale e politica. Lo so che è difficile, tanto più oggi. Veniamo infatti da oltre due anni di pandemia, da una crisi economica che dal 2008 non è mai passata; e ora persino una guerra alle porte dell’Europa. Sembra

davvero difficile sperare e trovare la forza per contribuire a costruire un mondo migliore. E invece è proprio adesso che dobbiamo più darci da fare! Ciascuno nel proprio campo, nei contesti della propria vita: in famiglia, a scuola, nei vari gruppi che frequentiamo.

Sapete, mi ha molto colpito un dialogo che tempo fa ho avuto con una mia studentessa: una brava ragazza, impegnata, attiva, solare. Eppure mi diceva che non sentiva la scuola come vera vita, questa per lei era soltanto fuori, e quindi a poco valeva impegnarsi. Le sue parole mi sono rimaste dentro. Certo, possono esserci momenti di sconforto, ma non possiamo lasciare che le difficoltà ci abbattano. 78 anni fa esse erano infinitamente più grandi, eppure chi scelse di combattere per la libertà, la giustizia, la democrazia, la pace, lo fece pensando proprio a noi, al mondo che sarebbe venuto.

Vorrei davvero che avessimo più tempo, a scuola e altrove, per leggere gli scritti di quanti, uomini e donne, fecero parte della Resistenza. Torniamo a leggere, per citarne solo alcuni, il diario di Ada Prospero Gobetti o di Emanuela Artom, i libri di Calvino, di Rigoni Stern, di Beppe Fenoglio, di cui pure ricorrono i cento anni dalla nascita, di Meneghello, o ancora Il manifesto di Ventotene, scritto nel 1941, nel pieno della Seconda guerra mondiale, da alcuni intellettuali antifascisti confinati nel carcere di Ventotene; infine torniamo a leggere le Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea così come la nostra Costituzione, frutto della Resistenza. Allo stesso modo dovremmo tornare sui luoghi, sostare, meditare di fronte alle lapidi, ai nomi, ai monumenti – pensiamo all’ultima lapide posta sulla facciata delle scuole elementari, dove sono ancora presenti le celle in cui i Sette Martiri furono imprigionati. E questo non per restare inerti a contemplare il passato come una reliquia, ma per trovare motivazione e coraggio per agire oggi. Perché violenza, guerra, cancellazione dei diritti, oppressione dei più deboli e altre ingiustizie sono ancora ben presenti nella società. Lo abbiamo visto, lo vediamo guardandoci intorno come scorrendo i social, lontano e vicino: pensiamo che solo alcuni giorni fa a Vicenza è stata imbrattata la sede della CGIL, un sindacato, con metodi simili a quelli che usavano le squadracce fasciste. E poi ci sono le nuove sfide, prima fra tutti la difesa dell’ambiente e la costruzione di un futuro ecosostenibile e in cui le risorse siano distribuite con maggiore equità e con solidarietà.

Insomma, dobbiamo, dovete, ragazze e ragazzi, darvi da fare. Scriveva Antonio Gramsci nel lontano 1919: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».

Così faremo vera memoria dei Sette Martiri come di tutte e tutti coloro che diedero la vita per la causa della Libertà. E voglio allora salutarvi con le parole di un ragazzo di diciannove anni, Giacomo Ulivi, partigiano fucilato a Modena il 10 novembre 1944. Scriveva Ulivi nella sua ultima lettera:

Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere! Ricordate, siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, dei vostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere; che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo? Bisognerà fare molto.

Responsabilità è la nostra, la vostra sfida: della memoria viva, che agisca nell’oggi. Ecco il significato del nostro essere qui, a commemorare i nostri Sette Martiri. Buon lavoro a tutte e tutti noi. Viva la Resistenza!

Michele Santuliana