Ferrer Visentini, in Spagna per la Libertà

di Gianni Sartori

 

Ferrer Visentini era nato a Trieste nel 1910. Il padre Ulderico, un calzolaio prima socialista e poi tra i fondatori del Partito comunista a Trieste, venne assassinato dai fascisti nel 1922. Gli aveva dato questo nome in memoria di Francisco Ferrer i Guardia, famoso pedagogista anarchico catalano fucilato l’anno prima, il 13 ottobre 1909 a Barcellona. Nativo di Trieste si considerava ormai pienamente vicentino avendo vissuto nella nostra città per molti anni in qualità di membro dirigente del P.C.I. prima e del P.D.S. poi.

In anni ormai lontani lo avevo intravisto nell’antica sede comunista vicentina (anche insieme a Sartori Antonio, altro operaio comunista volontario in Spagna) e poi meglio conosciuto alla presentazione di una sua preziosa pubblicazione sui volontari vicentini nella Guerra civile spagnola (“In Spagna per la libertà” Ed. ANPI Prov. di Vicenza). Fu in quella occasione che parlammo di Ismene Manea la cui foto segnaletica è riprodotta a pagina 48.

Tra i partecipanti, il poeta Fernando Bandini, autore della prefazione, Eugenio Magri, giovanissimo gappista durante la Resistenza, Gino Morellato che dopo aver combattuto nelle Brigate internazionali partecipò alla Resistenza francese raggiungendo il grado di capitano dei F.T.P. (Francs-tireurs et partisans, il movimento di resistenza interna francese creato ancora nel 1941 dal Parti communiste francais, PCF)

Lo rincontrai un paio di volte verso la metà degli anni novanta riportandone questa intervista. Troppo breve per riassumere in modo esauriente una vita tanto avventurosa, ma forse in grado di delineare la personalità di un “rivoluzionario di professione” del secolo scorso.

D. Innanzitutto qualche cenno biografico…

F.V. Provengo da una famiglia di socialisti, mio padre, un calzolaio con la terza elementare, fu uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia a Trieste. Mi chiamò Ferrer per un motivo ben preciso, un mio fratello fu chiamato Darwin, un altro Giordano Bruno…Nel 1926 mi iscrissi alla gioventù comunista cominciando molto presto a svolgere attività clandestina. Diffondevo materiale propagandistico in città e nei cantieri navali. Nell’ottobre del 1930 venni chiamato dalla direzione nazionale giovanile a dirigere l’attività clandestina in Lombardia. Per questo sfuggi all’arresto al momento della caduta dell’organizzazione giovanile a Trieste e, sempre nel ’30, venni inserito tra i latitanti ricercati dalla polizia politica. A Milano, con documenti falsi, resistetti pochi mesi. Venni arrestato il 21 gennaio 1931 in seguito a una retata a Sesto San Giovanni.

D. Cosa è poi successo? Il carcere, il confino…?

F.V. Il carcere di sicuro. Sono stato processato dal Tribunale speciale e condannato a nove anni di reclusione per ricostituzione del partito Comunista. Fui inviato prima a Lucca, dove rimasi dal ’31 all’estate del ’33 e poi a Civitavecchia, dove vennero concentrati i politici. Venni amnistiato nell’ottobre del ’34 per la nascita del figlio del Re.
Ritornai a Trieste mesi in libertà vigilata e nel maggio ’35 scappai riprendendo l’attività clandestina. Ma mi andò male, venni ripreso e inviato al confino per due anni, dal ’35 al ’37, a Ponza. Il 24 maggio 1937 espatriai clandestinamente con un passaporto falso fornitomi dal partito e arrivai a Parigi il 27 maggio. Un ricordo direi sconvolgente risale all’ultima domenica di maggio quando partecipai alla grande manifestazione in memoria dei trentamila comunardi trucidati nel maggio 1871. Un milione di persone percorse i boulevards inneggiando alla memoria della Comune e in difesa della Repubblica spagnola. A Parigi collaborai con Ruggero Grieco (segretario del partito comunista) alla redazione di “Lo Stato Operaio”.

Io avrei voluto andare subito in Spagna dove era già in corso lo scontro armato tra i repubblicani e i franchisti, ma il partito non era d’accordo. Raggiunsi ugualmente la Spagna nel dicembre 1937 con Giuseppe Boretti che avevo conosciuto a Ponza e che era riuscito a fuggire dalla compagnia militare di disciplina di stanza a Ponza, riparando a Parigi. Questo compagno morì durante la battaglia dell’Ebro. Dopo un periodo di addestramento militare che mi fu molto utile poiché non avevo fatto il soldato in Italia, a Quintenar de la Republica, venni assegnato al IV Battaglione della Brigata Garibaldi. Qui svolsi mansioni di responsabilità del partito.

D. Quel periodo segnò il ripiegamento dei repubblicani…

F.V. I franchisti, grazie al consistente aiuto di fascisti e nazisti, erano all’offensiva su tutti i fronti. Ruppero il fronte a Caspe e avanzarono fino al mare, tagliando in due parti il territorio della Repubblica. Il nostro comando dispose il trasporto immediato verso la Catalogna di tutti gli organici dei centri di addestramento delle formazioni internazionali che si trovavano nella provincia di Albacete. Ci ricongiungemmo con le rispettive unità militari ed assieme ad altre unità spagnole prendemmo posizione lungo l’Ebro. La situazione era molto grave: l’esercito repubblicano era diviso in due tronconi. Inoltre eravamo nettamente inferiori nell’aviazione, nell’artiglieria pesante e leggera e nei carri armati; potevamo competere solo nell’armamento leggero. Fu una battaglia durissima. Noi della Brigata Garibaldi entrammo in azione il 3 settembre, prendendo posizione sulla Sierra Caballs1 dove rimanemmo fino al 24 settembre. Furono 24 giorni di duri e continui combattimenti con gravissime perdite che raggiunsero l’ottanta per cento degli effettivi. Complessivamente la battaglia dell’Ebro durò tre mesi e mezzo, dal 25 luglio al 16 novembre con perdite complessive, calcolando entrambi gli schieramenti, di oltre 250mila tra morti, dispersi e feriti.

D. E dopo la Spagna, l’Italia?

F.V. Non subito ovviamente. Nel dicembre del ’38 con Italo Nicoletto rientrai in Francia. A Parigi continuai a lavorare nell’organizzazione dei volontari antifascisti di Spagna e collaborai al quotidiano “Voce degli Italiani”. Ma lo scoppio della guerra e l’invasione del territorio francese da parte dei tedeschi mi costrinsero a rientrare nella clandestinità. Svolsi il mio lavoro politico tra i migranti con il PCF2. Nel giugno del 1941 venni arrestato dalla Gestapo e inviato al campo di sterminio “KZ” delle SS a Compiegna dove rimasi fino all’agosto del ’44. Con l’avanzata alleata. Durante il trasferimento degli internati in Germania, riuscimmo a evadere con l’aiuto dei partigiani francesi. Dei quattromila che eravamo solo trecento erano riusciti a sopravvivere. Rientrai poi in Italia giusto in tempo per partecipare alla fase finale della lotta di liberazione a Torino. In seguito la vita e gli incarichi mi portarono stabilmente a Vicenza

 


 

1) Sierra Caballs e Pandols, una catena collinare, costituirono quel “fronte di Gandesa” ricordato in una versione della famosa canzone repubblicana:

Si me quieres escribir
ya sabes mi paradero:
en el frente de Gandesa,
primera línea de fuego

2) da ricerche successive penso di poter affermare che Visentini ebbe modo di collaborare con il MOI (Main-d’oeuvre immigrée, organizzazione sindacale dei lavoratori immigrati della CGTU – Confédération gènéral du travail unitaire) che aveva attivamente sostenuto la Repubblica spagnola (anche con la partecipazione di suoi membri alle Brigate Intenazionali) e forse anche con il primo FTP-MOI (Francs-tireurs et partisans-Main-d’oeuvre immigrée) sorto nel 1941.
Del FTP-MOI è nota la vicenda dell’Affiche rouge, un manifesto stampato dai nazisti nel 1943 con le foto di 23 membri del FTP-MOI poi fucilati. Il gruppo era quello guidato dal poeta armeno Missak Manouchian. I nazisti cercavano, peraltro invano, di alimentare l’ostilità dei francesi nei confronti della Resistenza mostrando come a questa partecipassero molti stranieri immigrati (italiani, spagnoli, armeni…) e molti ebrei.