11 settembre 1973

Londra, settembre 2002. A meno di un anno dall’attentato alle torri gemelle di New York, un profugo cileno a Londra scrive una lettera ai familiari delle vittime, ricordando loro un altro 11 settembre, quello del 1973, quando il generale Pinochet, con il sostegno degli Stati Uniti, sferrò un sanguinoso colpo di stato contro il governo legittimo di Salvador Allende.
Questa è quanto racconta un corto del regista Ken Loach, presente all’interno di “11 settembre 2001“, film ad episodi uscito nel 2002.

Eccone il testo:

Care madri, cari padri e persone care di coloro che sono morti l’11 settembre a New York.
Sono cileno, vivo a Londra e vorrei dirvi che forse abbiamo qualcosa in comune: i vostri cari sono stati assassinati come lo furono i miei; abbiamo anche la data in comune, l’11 settembre, martedì 11 settembre. Nel 1970 ci furono le elezioni, io avevo 18 anni e votavo per la prima volta; avevamo un bellissimo sogno, costruire una società in cui tutti potessero condividere il frutto del proprio lavoro e le ricchezze del paese. Così quel settembre del 1970 andammo tutti a votare e vincemmo! C’era il latte e la scuola per i figli, terre incolte vennero distribuite ai contadini senza terra, le miniere di rame e carbone e le principali industrie divennero proprietà di tutti noi. Per la prima volta nella loro vita le persone avevano una dignità. Ma non sapevamo quanto questo fosse pericoloso. Il vostro segretario di stato Henry Kissinger disse: “Non vedo come si possa stare fermi a guardare un paese che cade nelle mani dei comunisti grazie all’irresponsabilità del suo stesso popolo”: le nostre scelte democratiche, i nostri voti non erano rilevanti, il mercato ed i profitti sono più importanti della democrazia; da quel momento in poi il nostro dolore, il vostro dolore furono legalizzati. Il vostro presidente Nixon affermò che avrebbe fatto crollare la nostra economia, la CIA ricevette istruzioni di attivarsi per organizzare un’insurrezione militare, un colpo di stato; oltre 10 milioni di dollari furono stanziati per sbarazzarsi del nostro presidente, Salvador Allende.
Amici, i vostri leader decisero di distruggerci: provocarono uno sciopero dei trasporti che finì quasi per paralizzare la nostra economia, bloccarono gli scambi delle merci nel nostro paese creando il caos, si unirono a quanti nel nostro paese non avevano accettato la nostra vittoria. I vostri dollari foraggiavano gruppi neofascisti che portavano la violenza nelle strade e mettevano bombe nelle fabbriche e nelle centrali elettriche. Incredibilmente la cosa non funzionò: nelle elezioni amministrative il consenso popolare addirittura aumentò. E cosa fecero gli Stati Uniti?
L’11 settembre i nemici della libertà compirono un atto di guerra contro il nostro paese. Alle prime luci dell’alba truppe corazzate avanzarono contro il nostro palazzo presidenziale. Allende e i suoi ministri consiglieri erano all’interno. Allende non fuggì mentre il palazzo della “Moneda” veniva bombardato: “Loro hanno la forza, potranno farci schiavi ma i progressi sociali non si arrestano né con il crimine, né con la forza, la storia è nostra ed è fatta dal popolo. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!”. Fu assassinato, fu assassinato. Martedì, anche da noi accadde un martedì, l’11 settembre del 1973, un giorno che distrusse le nostre vite per sempre.
Mi spararono a un ginocchio e poi mi sbatterono la testa contro l’asfalto lurido della strada, me la sbatterono non so quante volte, finchè non persi conoscenza.
Un giorno in prigione mi issai sulle sbarre della finestra e vidi fuori un amico che veniva trascinato per le braccia, non poteva camminare, gli avevano spezzato le ossa, sanguinava dalle orecchie, poi lo assassinarono. Sapemmo dei campi di tortura comandati da ufficiali addestrati nelle scuole militari americane, sapemmo di quelli sbudellati, gettati dagli elicotteri in volo, di quelli torturati davanti ai loro figli e alle loro mogli. Sapete che cosa facevano? Collegavano fili elettrici ai genitali, mettevano topi nelle vagine delle donne, addestravano i cani a stuprare le donne. E poi sapemmo della carovana della morte, del generale che andava di città in città ordinando esecuzioni a caso.
Trentamila persone furono assassinate, trentamila. Il vostro ambasciatore in Cile protestò per le torture, ma Kissinger replicò: “Ditegli di non mettersi a fare lezioni di scienze politiche”. Il generale Pinochet che aveva guidato il colpo di stato accolse sorridendo il segretario di stato che si congratulò con lui per il lavoro ben fatto, e i dollari ricominciarono a fluire verso il Cile.
Mi chiamarono terrorista, mi condannarono al carcere a vita senza processo né difesa. Fui rilasciato dopo 5 anni, ma dovetti abbandonare il paese per la sicurezza dei miei amici. Ora non posso tornare in Cile, anche se ci penso continuamente: il Cile è la mia casa, ma cosa ne sarebbe dei miei figli? Loro sono nati qui a Londra, non posso condannarli all’esilio come fu per me, non posso farlo ora anche se con tutto il mio cuore vorrei tornare a casa.
Sant’Agostino diceva: “La speranza ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio: sdegno per le cose come sono, e coraggio per cambiarle”.
Madri, padri e persone care di coloro che sono morti a New York, presto sarà il ventinovesimo anniversario del nostro martedì 11 settembre e il primo anniversario del vostro, noi vi ricorderemo, spero che voi vi ricordiate di noi.
Pablo