Il problema del confine orientale italiano nel novecento

Italiani, Sloveni e Croati fra Triplice Alleanza e Fascismo

La vicenda delle “foibe” e l’Esodo giuliano-dalmata secondo i principali storiografi hanno trovato le loro radici nelle profonde fratture che si sono generate con la fine delle monarchie europee e con la nascita degli Stati nazionali. Molte indagini e ricerche (Pupo,Spazzali, Rumici, Donato, Catalan) prendono il via nel cogliere la dimensione prospettica legata alle vicende della fine dell’Impero asburgico e all’affermarsi, sulle sue tragiche rovine, di contrastanti identità di popolazioni che sino ad allora per centinaia di anni avevano convissuto.

È molto difficile comprendere la dimensione assoluta dello sradicamento della componente italiana nei luoghi e nei territori che ne avevano visto la presenza fin dalla romanizzazione dell’Alto Adriatico. E’ tanto più incomprensibile perché non vi fu alcuna discontinuità nelle popolazioni presenti nei secoli precedenti anche con il mutare delle realtà storiche, tanto che quei territori definiti dalla Repubblica di Venezia come Istria e Dalmazia conservarono fino alla fine del 1800 le condizioni di convivenza tra popolazioni con differenti origini. Quei territori attraversarono l’Impero asburgico senza grandi contrasti, che si scatenarono però con l’avvicinarsi della fine dell’influenza austriaca e continuarono nel Regno d’Italia con il passaggio dell’Alto Adriatico ai Savoia dopo il 1918.

In questo periodo, che va da alcuni decenni prima della fine dell’ottocento alla 1a guerra mondiale i conflitti tra sloveni, italiani e croati si alimentarono quale parte di un più generale conflitto tra le nazionalità presenti nella fase finale della vicenda asburgica. Quest’ultima si era delineata dopo il 1848 con la nascita di una sorta di duplice regno dando voce alla rivoluzione nazionale ungherese, e con la fondazione di due Stati indipendenti in Italia e in Germania.

In ciò che restava delle nazionalità asburgiche, forti erano i contrasti che non avevano trovato una soluzione analoga a quella ungherese del 1867. Facciamo riferimento alla Boemia, alla Moravia, alla Galizia, alla Transilvania, eccetera, dove differenti gruppi nazionali svolgevano ruoli diversi, in base alle condizioni che l’amministrazione asburgica generava per governare. Ad esempio i sudditi di lingua italiana nel Tirolo si consideravano oppressi da quelli di lingua tedesca; mentre nella Dalmazia gli italiani erano ormai assorbiti dai croati, al contrario in Istria con questi ultimi competevano per il controllo dell’amministrazione locale.

Nella penisola dell’Adriatico Settentrionale le popolazioni italiane, che erano state storicamente più numerose, assistevano alla crescita demografica dei loro vicini slavi; esse però controllavano in modo assoluto la città di Trieste. In questa luce nel 1863 l’Ascoli propose di chiamare quei territori che comprendono le coste settentrionali dell’Adriatico con il termine Venezia Giulia, dando espressione ai sentimenti che il Risorgimento italiano aveva suscitato in quei luoghi. Essi erano per la verità quantomeno contrastanti e differivano da città a città, da luogo a luogo. In Dalmazia ed Istria vi fu un grande fervore poiché erano forti i sentimenti che accomunavano quei territori con l’eredità veneziana. A Trieste prevaleva invece una certa prudenza, generata dalla paura di perdere le ampie autonomie economiche che avevano fatto di quella città il porto per eccellenza degli Asburgo. Essa si era trasformata da piccolo borgo marinaro in uno dei più importanti porti del Mediterraneo. Nella città i flussi migratori erano convulsi ma prevaleva sempre una categoria mercantile di lingua italiana che aveva imposto a tutta la città la sua cultura.

Trieste alla fine dell’800 era una delle più grandi città italiane per fervore economico, sociale e culturale. Essa si considerava quale capoluogo di una sorta di provincia che si estendeva lungo le coste nord ed est dell’Adriatico, come era avvenuto qualche secolo prima con l’unificazione veneziana della costa istro-dalmata. La città era saldamente amministrata da una classe dirigente cosmopolita con la prevalenza di quella di cultura e lingua italiana che, per conservare le proprie fortune e autonomie, aveva più volte dimostrato lealtà a Vienna emarginando ogni rivendicazione nazionale e democratica.

Il 1861 portò alla nascita del Regno d’Italia; tale proclamazione vide nella realtà triestina il sorgere nella dirigenza cittadina di un grande interesse verso il nuovo Stato italiano. Importanti e facoltosi triestini di origine ebraica erano attirati dalle libertà religiose, politiche ed economiche che lo Statuto Albertino aveva introdotto sin dal 1848 e che il nuovo Stato italiano aveva conservato. Il movimento liberale e di ispirazione nazionale che guidava Trieste mantenne però grande prudenza, sia perché prevalevano atteggiamenti conservatori rispetto alla situazione economica sia perché a partire dal 1882 l’Italia aderì definitivamente alla Triplice Alleanza con gli Imperi centrali lasciando poche alternative nei disegni liberali e democratici tra gli aderenti triestini al Risorgimento.

L’idea di Stato–nazione
Italiani e slavi nella Trieste asburgica