Cerimonia per Leone Mocellin, Antonio Todesco, Tullio Campana.

Come ogni Primo Maggio, si è svolta a San Michele la cerimonia di commemorazione per i tre partigiani barbaramente uccisi nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio 1945. L’orazione ufficiale è stata quest’anno tenuta dal prof. Ottorino Bombieri, presidente della sezione Valbrenta dell’ANPI.

[su_quote cite=”Ottorino Bombieri”]Il rischio che si corre in questa, come in altre ricorrenze, è che esse, ripetute negli anni, diventino ripetitive e quindi perdano valore e significato. Assieme a voi voglio evitarlo e fare in modo che il ricordo di vittime di violenza disumana, non diventi appunto ripetitivo, ma sia utile, a noi, del mestiere, ma soprattutto alle “nuove generazioni”.

Quindi, nel ricordare il sacrificio di Leone Mocellin, partigiano garibaldino della div. Montegrappa, Tullio Campana, anche lui garibaldino della divisione Montegrappa, Antonio Todesco, partigiano della divisione Garemi e, come ci ricorda Padre Giovanni Favero, “vice comandante di brigata negli altipiani di Asiago”, studente di medicina, mi limiterò a riassumere quanto emerso dal lavoro di recupero delle memorie svolto da Gianni Bizzotto e dai pochi ricordi che persone di famiglia mi hanno passato.

Gianni Bizzotto, nel lavoro propostoci il primo maggio di due anni fa, ha raccolto scritti e colloqui che portano alla nostra attenzione in modo particolare le violenze subite dai nostri martiri ed in particolare la tenerezza ed il dolore di una moglie (Filomena Buraschi in Campana “Mena”) ed una madre (Teresa Rossi in Todesco).

Gianni non ha potuto dare la risposta importante: perché tanta violenza? Perché la loro morte barbara e volutamente nascosta? Il perché credo non lo conosceremo forse mai.

Resta quanto avvenuto: restano documentate le modalità della cattura (per Leone Mocellin, nella camera dove la sorella di Leone, Nilda, aveva appena dato alla luce Glorianna, in Via Merlo 5 di San Nazario – era il 19 Dicembre del ’44; per Antonio Todesco, nella casa di Costa di Valstagna ed Incino – era il 10 Dicembre del ’44; per Tullio Campana, nella casa del Lepre dove era in cerca di cure per la pleurite rimediata durante il rastrellamento – era il 27 Dicembre del ’44).

In tutti tre i casi, ovviamente nessun rispetto per nessuno: violenza, rabbia, cattiveria al di sopra di ogni confine umano. E grande vigliaccheria.

E poi, giorni e giorni di carcere e violenze fisiche, torture fisiche e psicologiche (pensiamo, ad esempio, ad Antonio Todesco: la madre è incarcerata a poche celle di distanza ma può vederla solo la notte di Natale). E poi la morte atroce nelle forme, vigliacca nei modi: presi di sera, trasportati qua, buttati di sotto, strangolati (Tullio Campana) e poi fucilati; lasciati agonizzanti (Antonio Todesco) fino al mattino.

La sorte dei tre ha dei parallelismi: la vita faticosa in una Valbrenta che offriva solo l’emigrazione come possibilità per una vita, comunque difficile.

Tullio Campana, dei “Martiri del Grappa”, classe 1907, ci fornisce il collegamento con il gruppo di carabinieri presenti in Cima Grappa, con la fine tragica del loro eroico comandante, il tenente Luigi Giarnieri di Napoli, impiccato a Crespano il 24 Settembre del ’44.

Antonio Todesco “Pardo”, di Cismon, delle Fiamme Verdi dell’Altopiano, classe 1920, ci fa ricordare il battaglione Monte Grappa della Gramsci, i suoi compaesani di Cismon e della Valbrenta, alcuni di loro, prima eroi nella Guerra di Spagna e poi vittime del campo di concentramento francese del Vernet d’Arriège e di Gurs (come Abramo Maschio e Pietro Clementi di Cismon, Giovanni Cavalli, Andrea Lazzarotto e Antonio Moro di Valstagna, Piero Mocellin, fratello di Leone e Giulio Conte di San Nazario); ci fa andare con la memoria ai partigiani ed alle staffette del Forcelletto (e non solo), alle vittime civili dei bombardamenti di Cismon del 5 Novembre ’44 che lui, Antonio Todesco, allievo medico, andò spontaneamente e rischiosamente a curare.

E poi, Leone “Corvo”, classe 1920, appartenente alla grande famiglia antifascista dei Mocellin, emigranti in Francia, prima in Savoia e poi nei dintorni di Parigi. Famiglia povera ma dignitosa, al centro del mondo di fuorusciti, come Nenni, Paietta ed altri che spesso si recavano a casa loro per discutere davanti ad un piatto di minestra. Famiglia di socialisti e comunisti, vittime sempre, nel primo dopoguerra ed anche nel secondo, costretti alcuni in campi di prigionia, al confino e, tutti, ad emigrare.

Io non so perché siano stati ammazzati Tullio, Leone ed Antonio; ho delle mie teorie che si stanno facendo spazio mano a mano che le ricerche vanno avanti. Ho frequentato da sempre persone che portano il peso della miseria e dei ricordi. Nella mia storia ho cercato di approfondire fatti legati alla prima guerra, al fascismo, alla seconda guerra mondiale, alla Resistenza. Penso di capire cosa vuol dire essere di sinistra, anche adesso che essere di sinistra sembra più vicino alla razza in via di estinzione. Ho capito che il nostro sguardo, la nostra vita deve essere rivolta verso il più debole, verso chi soffre, verso chi è vittima di ingiustizie, verso i giovani senza storia.

Questi fatti, oggetto di nostri studi, di nostri dibattiti, di cerimonie spesso sostanzialmente solo nostre, dobbiamo farli conoscere. Non solo e non tanto per colpire la sensibilità di chi ascolta o per sentirci soddisfatti di aver compiuto il nostro dovere, ma perché è pregiudiziale per chiunque faccia parte di associazioni legate alla Resistenza fare memoria, ricordare, essere testimoni di quanto avvenuto; essere maestri nei confronti dei più giovani; trovare gli strumenti adatti per arrivare nella mente e nel cuore dei ragazzi; studiare e far studiare.

Pensate a quale vergogna dovremmo provare se le violenze, le lacrime, le sofferenze che oggi andiamo a ricordare, venissero dimenticate, nessuno le ricordasse. Era un po’ quello che stava succedendo, fino a pochi anni fa, per Tullio Campana, Leone Mocellin e Antonio Todesco e che, grazie ad ANPI di Bassano è tornato ad essere rivissuto, come stiamo facendo oggi.

Morti assassinati, qualificati, come ricorda Padre Giovanni Favero, come operai della Todt uccisisi in un alterco o, anche peggio, nel caso di Antonio Todesco, accusato di violenza nei confronti di una spia eneghese.

Pensiamo se fossero dimenticati: che vergogna per noi. La loro vita di sofferenze, la loro morte terribile sarebbero inutili. Avrebbero vinto ancora loro, i torturatori, gli assassini.

Ma questo non lo dobbiamo permettere mai.

Ed è questa la promessa che rinnoviamo ad ogni cerimonia: non vi dimenticheremo mai![/su_quote]