Il problema del confine orientale italiano nel novecento

Italiani e slavi nella Trieste asburgica

I fattori che a Trieste negli ultimi 20 anni del 19° secolo spostarono gli avvenimenti furono in primo luogo la nascita di un movimento nazionale sloveno e la costituzione nel tessuto cittadino diun consistente ceto borghese sloveno. Il primo evento arrestò l’assorbimento della immigrazione slovena richiamata dal grande sviluppo economico della città, creando profondi allarmi per la crescita demografica delle popolazioni slave. Il secondo creò gravi contrasti con la parte italiana che deteneva il controllo economico ed amministrativo della città.

La borghesia slovena si dimostrava assai dinamica e sosteneva le rivendicazioni della propria nazionalità. Chiedeva l’attuazione dei ‘diritti nazionali’, tutti incentrati nel riconoscimento della lingua nazionale sia nell’educazione, che nell’amministrazione. Il fattore di contrasto principale va ricercato in ciò che era centrale per ciascuno dei movimenti nazionali presenti nella città e più in generale nell’Europa di fine ‘800: ogni possibilità di realizzare completamente l’identità nazionale doveva attuarsi nel controllo delle istituzioni di governo.

A Trieste sia italiani che slavi avevano aderito a tale rivendicazione della propria identità, percorrendo irrimediabilmente il cammino che li condusse ad un aspro conflitto per il potere. Ciò caratterizzò tutti gli eventi fino al crollo dell’Impero e successivamente si trasformò nella lotta per far prevalere la propria frazione nazionale sulle altre affinché il proprio territorio ‘redento’ fosse inserito nello Stato nazionale di appartenenza. In estrema sintesi ciò avvenne per gli italiani dopo la Prima guerra mondiale e fu attuato e portato a compimento con le persecuzioni del fascismo, mentre per gli slavi si attuò dopo la Seconda guerra mondiale attraverso le efferatezze che accompagnarono la rivoluzione di Tito.

Nella provincia di Trieste l’amministrazione austriaca favorì gli slavi, e gli italiani cominciarono a sentirsi oppressi. Non era certo una congiura ma rientrava negli equilibrismi politici asburgici per conservare il proprio potere. Vienna interveniva nei poteri locali e nel governo delle periferie favorendo chi era escluso da questi. A Trieste possiamo dire che le vicende precedenti la Prima guerra mondiale furono paradigmatiche dei rapporti tra le nazionalità italiane, slovene e croate. Nell’amministrazione comunale erano impiegati solo italiani poiché essa era controllata dagli italiani, mentre le amministrazioni postale e ferroviaria prediligevano esclusivamente slavi poiché esse erano sotto il diretto controllo imperiale.

In queste vicende Trieste subiva anche alcuni fattori di natura geografica e politica che spingevano ad assegnare alla città una fondamentale valenza strategica. Gli Asburgo consideravano i territori a nord dell’Adriatico irrinunciabili e certamente da non lasciare agli italiani, la cui fedeltà non era assoluta visto le esperienze ormai storiche nell’Italia Settentrionale.
Trieste, per la politica dell’Austria, doveva divenire una città non più italiana ma di differenti nazionalità; le istituzioni imperiali attuarono tale politica con diligenza fino ad essere considerate dagli italiani di Trieste e delle aree di sua influenza come avverse ed oppressive. Il concetto di nazionalità italiana aveva dunque superato l’autonomia locale concessa e perseguiva la propria affermazione attraverso l’affrancamento dall’Impero soprattutto perché questo stava ridimensionando il potere economico a favore degli altri gruppi nazionali slavi.

Tutta l’economia giuliana si era affermata con lo sviluppo della città nell’attuazione della politica estera dell’imperatore. Tra la fine dell’ottocento e la Prima guerra mondiale Trieste era incentrata sul sistema economico industriale e portuale. I suoi processi economici non erano in mano alla classe dirigente cittadina ma erano sempre più condizionati da una dirigenza che stava fuori dal territorio e che faceva riferimento agli interessi geopolitici di due Stati che si fronteggiavano nell’Adriatico.

Tra gli italiani di Trieste e più in generale tra quelli dell’Adriatico Orientale era diffuso il principio secondo il quale essi erano soggetti ad un assedio; tale concetto è stato definito da Catalan proprio come un vero complesso che condizionò lo scenario giuliano per tutto il secolo delle guerre mondiali.
L’irredentismo fu il frutto di tale condizionamento, il tentativo di uscire dall’assedio slavo-asburgico ed affermare la propria nazionalità nel Regno d’Italia. Tale scelta si concretizzava all’inizio del ‘900, ma essa era tutt’altro che vicina alle istanze democratiche e liberali del Risorgimento che aveva visto come protagonisti Mazzini e Garibaldi.

Essa era permeata da tutta la cultura del nazionalismo italiano con il bagaglio completo di aggressività, imperialismo e xenofobia. Fatta esclusione dei socialisti triestini fedeli al pacifismo internazionalista, tutte le altre componenti politiche e sociali del territorio triestino, istriano e dalmata con la spinta delle generazioni italiane più giovani abbandonarono ogni prudenza e abbracciato l’irredentismo allo scoppio della Prima guerra mondiale si lanciarono pienamente nel progetto interventista fino alla diserzione per arruolarsi nel Regio Esercito Italiano.

Italiani, Sloveni e Croati fra Triplice Alleanza e Fascismo

Dalla Prima guerra mondiale al fascismo