Il problema del confine orientale italiano nel novecento

La regione istro–dalmata prima degli Stati nazionali

Prima di entrare nello specifico diamo qualche cenno della storia etnico-politica della regione nei secoli precedenti, al fine di chiarire alcune questioni spesso usate strumentalmente dagli opposti nazionalismi. Infatti mentre geograficamente i confini occidentali e settentrionali corrono sulla cresta delle Alpi e delimitano nettamente il territorio italiano, anche se lasciano diverse commistioni etniche, il confine orientale ha sempre costituito un problema geografico e storico: la valle dell’Isonzo è geograficamente italiana ma etnicamente per la maggior parte slovena.

Ancora più problematica la definizione dell’italianità del territorio istro–dalmata: dal punto di vista geografico esso appartiene alla penisola balcanica, ed etnicamente è stato un mosaico di popoli di origine e cultura diverse, che si sono sovrapposti e mescolati nel corso dei secoli. Tra questi i discendenti delle popolazioni illiriche latinizzate, Veneti, Istri, Dalmati, che nel corso del Medio Evo rimasero in costante collegamento col potere marinaro di Venezia, e i gruppi slavi spintisi verso le coste dall’interno della penisola balcanica, in particolare Sloveni e Croati. Assieme a questi popoli convivevano gruppi minori di varia origine etnica: Serbo-montenegrini, Albanesi, Aromuni, Narentani, Zingari, Ebrei. Politicamente tutti furono soggetti in parte al Sacro romano impero e in parte all’Impero bizantino, a cui poi si sostituì la Repubblica di San Marco. Quindi per secoli la regione giuliano-dalmata fu caratterizzata da una consistente presenza di popolazione veneta, che conviveva con altre popolazioni di diversa origine, e politicamente fu in buona parte soggetta a Venezia.

Le guerre napoleoniche determinarono la fine della Repubblica veneta: nel 1797 il trattato di Campoformido assegnò all’Austria il Veneto, l’Istria e la Dalmazia; successivamente la pace di Vienna del 1809 istituì le Provincie Illiriche, soggette direttamente alla Francia, comprendenti la Carinzia, la Carniola, Gorizia, Trieste, l’Istria, parte della Croazia, la Dalmazia e Ragusa. Dopo la caduta di Napoleone l’intera zona tornò (1815) sotto il dominio degli imperatori d’Austria, ma rimase separata dal Veneto; con la bipartizione dell’Impero venne assegnata al Regno d’Ungheria, esclusa Trieste che diventò autonoma. Il periodo risorgimentale portò alla nascita dello Stato nazionale italiano e di Stati nazionali balcanici: Serbia, Bulgaria, Romania, Grecia. Tutto questo a danno degli Imperi sovranazionali, austriaco, russo e turco. L’emergere di forti spinte nazionalistiche nei Balcani dove molte etnie, compresa quella veneto-italiana, erano frammiste “a macchie di leopardo” preoccupava molti statisti europei, non solo quelli turchi e austriaci; per una soluzione federalista si espressero anche protagonisti del Risorgimento italiano come Mazzini, Tommaseo (originario di Sebenico), Mamiani e lo stesso Garibaldi.

Premessa
L’idea di Stato–nazione