Il problema del confine orientale italiano nel novecento

La fine della guerra

Nella primavera del 1945 l’esercito tedesco sta cedendo sia nei Balcani che in Italia. L’armata di Tito il 20 marzo occupa Bihac, in Bosnia, ma poi invece di dirigersi verso Zagabria punta su Trieste. Qualche storico parla di “corsa per Trieste” tra jugoslavi e angloamericani. Il 30 aprile il CLN triestino dà inizio all’insurrezione; il primo maggio entrano in città i partigiani sloveni del IX Corpus, provenienti dal Carso; il 2 maggio arrivano anche i neozelandesi dell’VIII armata britannica e reparti della IV armata jugoslava. Inizia un periodo in cui la zona di Trieste è occupata da più eserciti, non sempre in accordo tra loro. Comincia ad operare l’OZNA, organizzazione per la difesa del popolo, una specie di polizia politica legata al potere jugoslavo, che opera molti arresti, non solo di fascisti, ma anche di esponenti del CLN, in quanto si vogliono eliminare coloro che possono opporsi alla linea jugoslava; spesso gli arrestati scompaiono, tanto che si torna a parlare di foibe. Quando gli angloamericani si rendono conto di quanto sta accadendo decidono di intimare agli jugoslavi di lasciare Trieste, Gorizia e il territorio circostante. In questi dieci giorni avvengono diverse uccisioni di collaborazionisti slavi ed italiani, ma anche di esponenti antifascisti e di rappresentanti delle istituzioni italiane. Oltre che di “resa dei conti” si può parlare di operazione politica, di “epurazione preventiva” organizzata dal potere jugoslavo contro i potenziali avversari. L’operazione è concentrata a Trieste e Gorizia, mentre risulta marginale in Istria. Le dinamiche dei fatti non sono ancora state chiarite, perché alla confusione del momento sono succedute distorsioni e falsificazioni dovute alla nascente lotta politica e nazionalistica.

Esemplare in questo senso la storia della “foiba” di Basovizza, frazione di Trieste, dichiarata nel 1992 monumento nazionale. In realtà si trattava del profondo (oltre 200 metri) pozzo di una miniera di carbone. Nel giugno del 1945 alcuni giornali italiani pubblicarono voci di una strage avvenuta il mese precedente, ai primi di maggio, durante l’occupazione jugoslava di Trieste. Gli angloamericani, presenti in città al momento del presunto fatto, svolsero delle indagini, ma incontrarono la reticenza degli sloveni triestini: alcune ammissioni vennero da donne, bambini e da un sacerdote, che parlò di un’esecuzione di poliziotti fascisti rei di persecuzioni antislave. Gli inglesi sondarono il pozzo, recuperando resti umani irriconoscibili (viene citata solo la quantità: 270 chili) oltre a carcasse di cavalli e residuati bellici. Secondo gli abitanti sloveni del posto si trattava di partigiani gettati nel pozzo dai fascisti e di caduti tedeschi appartenenti a una colonna impegnata in una battaglia, cui appartenevano anche armi e cavalli. Da parte italiana si ebbe una campagna di stampa dove comparvero notizie poi smentite dalle ricerche degli alleati, come la presenza di cadaveri di neozelandesi e americani, i 400 teschi recuperati e poi scomparsi e la stima di “500 metri cubi” di resti umani. Negli anni successivi il pozzo fu ceduto a una ditta che recuperava dal fondo rottami ferrosi, quindi la giunta democristiana di Trieste decise di usarlo come discarica di rifiuti. Le ricorrenti polemiche sulla stampa infine fecero decidere per coprire tutto con una colata di cemento. Oggi ancora restano versioni diverse: negli ambienti sloveni si continua a negare sia avvenuta una strage di italiani e si parla di una montatura dovuta al “razzismo antislavo”, mentre in alcuni ambienti italiani si parla di diverse centinaia, se non migliaia, di morti. Sul monumento compare un solo numero, quello di 97 “finanzieri” italiani: forse i finanzieri scomparsi (però allora si era in Germania) sono i “poliziotti” di cui parlava monsignor Scek, ma difficilmente emergerà la verità.

Le ricostruzioni più accurate riguardo a quel periodo riferiscono per l’area della Venezia Giulia di 1.300 morti accertati. Le ricerche svolte dagli Alleati riportano le cifre degli scomparsi: 1.470 in provincia di Trieste e 1.100 in provincia di Gorizia. Dopo il calo della tensione con la Jugoslavia vennero eseguite ricerche anche negli uffici di anagrafe dei comuni passati alla Jugoslavia, che portarono il totale degli scomparsi a 4500 persone, senza precisare se italiani o slavi, fascisti o antifascisti, presumibilmente uccisi o scomparsi di loro volontà, deportati e morti nei campi di concentramento di Tito oppure inceneriti nei forni della Risiera.

Anche gli storici più documentati (Pupo, Spazzali, Apih ecc.) stimano le vittime nella regione tra il 1943 e il 1945 per ordine di grandezza: centinaia delle foibe vere e proprie, migliaia della repressione politica jugoslava, decine di migliaia della repressione nazifascista. E centinaia di migliaia, anche se non si parla di morti, per l’esodo, che tra le vicende citate è il fenomeno proporzionalmente più rilevante e anomalo.

La Resistenza e la repressione
L’Esodo