Il problema del confine orientale italiano nel novecento

La Resistenza e la repressione

Quando i tedeschi decidono di ripristinare il fascismo, in forma repubblicana, nell’Italia occupata, lasciano fuori dalla nuova entità statale vasti territori, che annettono direttamente al Reich. Friuli, Venezia Giulia, Istria, Fiume, Zara e provincia di Lubiana entrano a far parte della zona operazioni Litorale Adriatico, affidata al Gauleiter della Carinzia, Rainer. La popolazione locale viene divisa, secondo i canoni del razzismo nazista, in quattro etnie: slovena, croata, italiana e friulana, quest’ultima ritenuta affine alla ladina. Il progetto tedesco prevedeva per il futuro la creazione di uno stato-cuscinetto, il Friuli, tra Italia e Germania: infatti Trieste doveva diventare il porto tedesco sul Mediterraneo. Gli italiani quindi diventano minoranza, e tutte le autorità civili e militari sono carinziane. I tedeschi organizzano reparti armati collaborazionisti: domobranci, guardie bianche e guardie azzurre per gli sloveni, ustascia per i croati, milizia di difesa popolare per gli italiani, tutti dipendenti dalleSS. Vengono pure stanziati in zona i cosacchi dell’ex generale dell’Armata Rossa Vlasov, ritiratisi con le loro famiglie dal fronte orientale al seguito dei tedeschi, che hanno promesso loro l’Alto Friuli, e alcuni reparti di cetnici serbi.

Dall’altra parte ormai vi è una forte e organizzata resistenza partigiana, che ha il suo centro nelle zone slovene del Carso. Vi sono consistenti formazioni slave, come la Gortan e la Gregorovic, e alcune italiane, come la Fontanot e la Budicin, garibaldine, e la Osoppo, autonoma. I rapporti tra queste formazioni non sono sempre amichevoli, dal momento che gli sloveni pretendono che le formazioni italiane siano subordinate al loro comando, ma anche tra gli italiani vi sono attriti, che culminano con l’episodio di Porzus. La guerriglia e la relativa repressione sono sempre più feroci, e l’impiego dei reparti collaborazionisti assume aspetti di persecuzione etnica. Hitler ha autorizzato per il Litorale Adriatico l’uso dei mezzi repressivi già adottati per il fronte orientale con le direttive del 18 agosto 1942, che prevedono l’annientamento dei civili nelle zone interessate dalla guerriglia.

Un aspetto di questa linea è l’istituzione del campo di sterminio nei capannoni dell’ex risiera situata nel quartiere triestino di San Sabba. Rainer per organizzarlo chiamò un esperto, Odilo Globocnik, che aveva diretto l’eliminazione di un milione e mezzo di ebrei polacchi, assieme ad una squadra specializzata di SS proveniente dai lager tedeschi. Nella rigida organizzazione germanica San Sabba era un campo di raccolta e smistamento per gli ebrei, che venivano sterminati in altri campi; provvedeva invece all’eliminazione degli oppositori, partigiani o politici antifascisti. Non doveva trapelare nulla all’esterno di quanto accadeva, nel reparto di sterminio potevano entrare solo le SS addette, però per i lavori pesanti venivano utilizzati prigionieri ebrei che comunque dovevano scomparire. Invece alcuni di questi riuscirono a sfuggire allo sterminio e testimoniarono le modalità di funzionamento: gli oppositori rastrellati venivano uccisi con il gas o con mazze ferrate, subito dopo venivano inceneriti nei forni e le ceneri disperse in mare. Perciò il numero delle vittime è sconosciuto, le stime variano da duemila a cinquemila persone, tra i quali si suppone alcuni dirigenti della Resistenza triestina e veneta di cui si persero le tracce.

La repressione nazifascista, in particolare dopo l’otto settembre, segnò profondamente la Venezia Giulia e i territori jugoslavi occupati dall’Italia nel 1941: gli sloveni denunciano 60 mila civili morti per cause belliche, mentre alcuni storici addebitano all’esercito italiano l’uccisione di oltre duecentomila civili. Se i fascisti sfruttano per la loro propaganda l’episodio delle foibe, tra le forze della resistenza jugoslava si diffonde a causa delle stragi indiscriminate un forte rancore che dai fascisti rischia di espandersi a tutti gli italiani. La stessa Chiesa triestina nel 1944 mette in guardia il potere locale riguardo l’eccessiva violenza, paragonando i campi di detenzione fascisti alle foibe.

Le foibe istriane
La fine della guerra