Commemorazione di Selva di Trissino

Selva di Trissino, 24 marzo 2019 – Discorso di Giorgio Fin

Oggi è il 24 marzo e proprio 74 anni fa, era però di sabato, i fascisti della brigata nera di Valdagno circondano la contrada Fochesati di Altissimo, fanno uscire la popolazione e perquisiscono tutte le case. Vengono così sorpresi 4 partigiani, alcuni nascosti in un fienile. Uno di loro, Giuseppe Castagna, originario di Recoaro, nome di battaglia “Rosetta”, reagisce: viene subito ucciso e abbandonato ai piedi di un albero. Gli altri tre sono portati a Valdagno per gli interrogatori: sono Antonio Pana “Libero” di Arzignano, Vito Pagano “Pepe” di Agrigento, e “Dardo”, un altro siciliano di cui non conosciamo il nome. Non dobbiamo meravigliarci se qualcuno di loro, sottoposto a maltrattamenti e torture, non sia stato capace di resistere e abbia rivelato ai fascisti informazioni preziose. Sta di fatto che, due giorni dopo, lunedì 26 marzo, 35 brigatisti neri, guidati da Emilio Tomasi, alle 7 di mattina piombarono qui a Selva trascinando con loro i tre prigionieri. Subito si diressero verso le macerie dell’albergo Belvedere che i fascisti stessi avevano distrutto e incendiato per ben due volte. L’albergo era di proprietà dei Rigodanzo, la famiglia di “Catone”, il commissario della brigata “Stella”. Tra quelle rovine era stato ricavato un bunker in cui si rifugiava il partigiano “Claudio”, Pietro Peghin, il fratello della nostra Teresina “Wally”, braccio destro di “Catone”. Aveva una pistola con tre colpi e una bomba sipe. Uno dei fascisti riuscì ad avvicinarsi con l’aiuto di una pila. “Claudio” sparò in direzione della luce e lo ferì alla mano. Allora, individuato il nascondiglio, i brigatisti gli lanciarono contro varie bombe a mano che lo ferirono, per fortuna leggermente, in varie parti del corpo. Si difese come poté, ma non cedette. Per stanarlo andarono a prendere il padre Ettore Peghin di 56 anni, che abitava lì vicino, minacciandolo di morte. A quel punto “Claudio” uscì dal suo rifugio e, come gli era stato intimato, consegnò al padre la pistola, ormai scarica, rifiutandosi però di dargli anche la bomba perché ne aveva tolta la sicura e temeva che nel passaggio scoppiasse. Di fronte aveva i brigatisti schierati con le armi spianate. Perso per perso, gettò la bomba davanti a sé correndole incontro. Lo scoppio incredibilmente lo risparmiò, ma ebbe l’effetto di sorprendere e disorientare i fascisti, così che “Claudio” riuscì ad uscire dall’accerchiamen-to e a fuggire. Pur inseguito dalle raffiche di mitra, ebbe la fortuna di essere colpito solo all’anulare della mano sinistra. Vi risparmio i particolari della sua fuga, dell’inseguimento e della rabbia fascista. Tutti gli abitanti di Selva furono minacciati, persino il parroco, specialmente i famigliari di “Claudio”. Erano venuti quassù in 35 per catturarne uno e hanno fallito. Così alla fine la loro vendetta fu terribile. Prima di andarsene, al posto del figlio uccisero il padre e, arrivati alla cabina, fucilarono anche i tre partigiani che si erano portati appresso.

Mancava solo un mese alla Liberazione, la guerra era perduta; lo sapevano anche i fascisti perché ormai non credevano più alla bufala delle armi segrete di Hitler. Nel Vicentino, come in tutta l’Alta Italia, molti di loro avevano cominciato a defilarsi svestendo la camicia nera, alcuni erano in trattative per sopravvivere alla sconfitta, altri aiutavano persino i partigiani per procurarsi qualche merito da far valere nel momento cruciale della resa dei conti. I brigatisti della Valle dell’Agno invece insistevano nel loro dissennato fanatismo e proseguivano, se possibile con aumentata crudeltà, la loro caccia al partigiano, aiutati dalle spie che avevano sguinzagliato ovunque. Un mese prima, il 20 febbraio 1945, avevano barbaramente seviziato e ucciso cinque giovani partigiani a Quargnenta, in contrada Grilli. Il 24 marzo ai Fochesati e il 26 a Selva: altri cinque morti. Come mai tanta violenza? e non solo contro i partigiani, ma anche contro i civili? E’ difficile rispondere a tale domanda. Più che un problema storico potrebbe essere un problema psicologico o psichiatrico oltre che sociologico. Io penso che questo loro eccesso di ferocia, questo bisogno di ferire, di oltraggiare, di seviziare siano dovuti alla rabbia e alla delusione per l’imminente fine del loro potere. E’ una specie di rivalsa, il volere cioè fargliela pagare a questi traditori, a questi che ritenevano la causa della loro rovina, della fine del loro sogno di uno stato fascista in cui loro erano rispettati, temuti. Ma di tanta crudeltà ci sono spiegazioni anche dal punto di vista storico. In primo luogo perché quella che stavano combattendo le camice nere era una guerra fra appartenenti alla stessa patria, una guerra civile insomma: una guerra senza quartiere, in cui le figure del quotidiano – i familiari, i vicini, i colleghi, le persone incrociate ogni giorno – si trasformano in sospetti, in ipotetici nemici; una guerra senza esclusioni in cui nessuno è neutrale: o sei con me o contro di me; una guerra che non può risolversi con un armistizio, ma solo con l’eliminazione dell’avversario.

In secondo luogo perché la violenza è nella natura, nel DNA, del fascismo. Mussolini, che per inciso proprio 100 anni fa come ieri, il 23 marzo 1919, fondava a Milano i fasci di combattimento, ebbe a dire in uno dei suoi discorsi: «la violenza non è per noi un sistema e nemmeno uno sport; è una dura necessità». E lo ha dimostrato da subito con lo squadrismo, che ha lasciato sul terreno migliaia di persone tra morti e feriti. Lo ha confermato poi con la dittatura eliminando in vari modi gli avversari: Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Antonio Gramsci, don Minzoni, parroco di Argenta, per non parlare di quelli che con il tribunale speciale ha mandato in carcere o al confino (qualcuno ha parlato di vacanza, ma sono stati 177 quelli che vi hanno trovato la morte). I vicentini assegnati al confino dal ’28 al ’43 sono stati 120. Il fascismo ha poi perseguitato gli ebrei, non solo, ma tutti quelli che erano diversi o la pensavano diversamente; ha soppresso tutte le libertà, ha obbligato tutti ad essere fascisti se volevi lavorare, andare a scuola, essere curato, vivere. Ha governato opprimendo l’Italia e gli italiani e praticando una politica di aggressione contro altri popoli con una guerra dopo l’altra: nel 1930-31 contro la Libia; nel 1935-36 contro l’Etiopia e l’Abissinia usando contro i negri i gas che sterminavano anche vecchi, bambini e donne; nel 1936-1939 ha dato man forte al dittatore Franco nella guerra civile contro i repubblicani, nel 1939 ha occupato l’Albania e nella 2° guerra Mondiale ha invaso la Francia, la Slovenia, la Croazia, il Montenegro, la Grecia e persino la Russia, commettendo indicibili crimini di guerra.

Questo è stato il fascismo. Violenza e sopraffazione e guerra.

E qualcuno ha ancora il coraggio di affermare che il fascismo, se non fosse per la guerra a fianco di Hitler e per le leggi razziali, ha fatto cose buone. Ogni tanto sentiamo raccontare questa favola da giornalisti, da pseudo intellettuali e persino da autorità pubbliche senza che vi sia un’ondata di sdegno e riprovazione. Anzi, molti, troppi italiani credono ancora a questa leggenda, smentita dai fatti e dalla storia. Questo avviene perché noi italiani non abbiamo mai fatto pienamente i conti con il nostro passato. Abbiamo conservato troppi scheletri nei nostri armadi della vergogna, troppi misteri mai svelati, anche recenti che condizionano il nostro presente e il futuro: elencarli sarebbe troppo lungo. Ultimamente abbiamo sentito affermare impunemente che il fascismo ha avuto dei meriti persino da Taiani, presidente del Parlamento europeo: siamo in campagna elettorale e allora si possono raccontare tutte le cavolate che si vogliono. Ma verso Taiani in Europa l’indignazione è stata forte e per non dare le dimissioni ha dovuto chiedere pubblicamente scusa. In Italia nessuno ha mai chiesto scusa per le proprie simpatie fasciste, anzi per camuffarle molti mettono sullo stesso piano fascismo e antifascismo, sono cose superate; essere stati partigiani o combattenti di Salò è lo stesso, senza dire che i primi ci hanno portato la democrazia e la libertà, mentre i secondi volevano la dittatura di Mussolini al servizio di Hitler. Chi avesse ancora, dopo 74 anni dalla Liberazione, qualche simpatia per il fascismo, dovrebbe ascoltare le parole del nostro Presidente della Repubblica Mattarella che ebbe a dire (23.1.2018): «Il fascismo fu un regime che non ebbe alcun merito, e nel quale la caccia agli ebrei non fu affatto una deviazione ma fu insita stessa alla natura violenta e intollerante di quel sistema. I fantasmi del passato – continua il Presidente -, il rischio che si possano di nuovo spalancare le porte dell’abisso, devono essere sempre tenuti presenti. Non bisogna minimizzare i focolai di odio». E l’odio oggi si sta purtroppo diffondendo, lo vediamo tutti, lo sentiamo nell’aria, nel linguaggio, nei fatti. Anche sintomi di ritorno o di un nuovo fascismo. Questo avviene perché abbiamo messo da parte i valori che sono alla base della convivenza civile, che sono quelli scritti nella nostra Costituzione nata dalla Resistenza, che parla di pari dignità di tutti gli uomini, al di là di ogni differenza di sesso, di religione, di razza, di censo, che sostiene che questa dignità deriva dal lavoro e si realizza attraverso la solidarietà politica economica e sociale tra gli italiani e la pace con gli altri popoli, ripudiando la guerra.Quando qualcuno manifesta qualche tolleranza per il fascismo si applichino le leggi e gli si faccia imparare a memoria i primi dodici articoli della Costituzione.
Rileggiamoli anche noi, spesso, perché lì è delineata la nostra identità, riscattata dai combattenti per la libertà e bagnata dal sangue di tutti quelli che per essa sono caduti.

Così onoreremo degnamente Ettore Peghin, il papà di Teresina, i partigiani “Rosetta”, “Libero”, “Pepe” e “Dardo” che furono qui trucidati 74 anni fa e gli altri caduti di Selva per la libertà.

No al fascismo vecchio e nuovo. W la Resistenza. W la libertà e la pace.