71° dell’assassinio di Dino Carta

Alla commemorazione per il 71° anniversario dell’assassinio di Dino Carta, svoltasi lo scorso 16 gennaio, l’orazione ufficiale è stata tenuta dal prof. Roberto Pellizzaro. Il discorso è stato molto apprezzato e riteniamo di far cosa gradita riportandolo nel nostro sito.

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Buongiorno a tutti e grazie di essere intervenuti così numerosi. Un grazie particolare ai familiari di Dino Carta, all’Anpi che mi ha fatto l’onore di tenere questo discorso commemorativo, alla professoressa Patrizia Mirri e al maestro e amico Bepi De Marzi.
Lo scorso anno su questo palco mi ha preceduto Pio Serafin ed ha parlato a 3 giorni dalla strage di Charlie Hebdo. 2 mesi fa il 14 novembre in occasione della commemorazione dei X Martiri Danilo Andriollo ha tenuto la sua orazione a 10 ore dai tragici fatti di Parigi. Pochi giorni fa lo scoppio della bomba coreana e gli attentati di Istanbul e di Giacarta: questo per sottolineare che PACE LIBERTÀ DEMOCRAZIA SOLIDARIETÀ GIUSTIZIA TOLLERANZA non sono valori gratuiti e scontati.

Comincio facendovi il nome di Corrado Lorefice. Non so se vi dice qualcosa. La persona è rimbalzata alla cronaca per merito di Papa Francesco che, se è il capo spirituale del Cattolicesimo, è l’unico uomo politico, detto nel senso più nobile, che dice pane al pane e si fa capire quando parla. Francesco, meraviglioso rivoluzionario per felice definizione di Benigni, sovvertendo gerarchie e prassi consolidate, ha nominato Corrado Lorefice quale arcivescovo di Palermo, da semplice parroco di campagna che era. Il neo eletto alla prima dichiarazione spiazza tutti rivelando il suo punto di riferimento. I Vangeli- pensiamo noi- Sant’Agostino o Madre Teresa di Calcutta? Niente di tutto questo. Sentite il sacerdote: “Il mio faro sarà la Costituzione della Repubblica Italiana, la più bella del mondo nella quale c’è tutto. Nulla di strano: io sono prima di tutto un cittadino italiano”.

Noi ci troviamo qui per commemorare il partigiano Dino Carta e gli ideali per cui è morto: oggi il giovanissimo vicentino rappresenta tutto il movimento nazionale antinazifascista passato alla storia con il nome di Resistenza, formata da donne e uomini che hanno saputo scegliere da quale parte schierarsi; dalla Resistenza è nata la Costituzione Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, sintesi sapiente di cultura e di etica, la Magna Carta delle libertà, di uguaglianza e giustizia: la legge fondamentale dello Stato.

Vedo con piacere molti studenti davanti a me, anche ragazzi del Pigafetta. I Piccoli Maestri di cui scrive Luigi Meneghello per metà erano usciti dal vostro liceo, a cominciare dal capitano Toni Giuriolo. Il Pigafetta è stata la scuola più resistenziale del Vicentino. Ma il Rossi non è da meno. Dino Carta era studente del Rossi, come lo erano stati, tra i 9 Piccoli Maestri combattenti in Altipiano, i 2 unici ancora viventi, Dante Caneva e Renzo Ghiotto. Giovanni Carli, l’anima della Resistenza altipianese, Commissario della Divisione “Ortigara”, insegnò materie scientifiche al Rossi dove conobbe la futura moglie Lia Miotti, giovane professoressa di lettere, autrice nel 1946 di un toccante libro nel quale narra a caldo della lotta antinazifascista e della morte del marito avvenuta per mano tedesca il 27 aprile 1945 a Sandrigo. Nel 1965, quale deputata, terrà alla Camera la lectio ufficiale a 20 anni dalla fine della guerra. Una digressione: a Malga Fossetta con i Piccoli Maestri c’era l’ucraino Vassilij. In una lettera del 1990 a Dante Caneva Vassilij scrive: “Riferisco sempre ai miei compaesani sulla bontà e lo straordinario senso di ospitalità del popolo italiano.”

Ricordare Dino Carta significa onorare la Resistenza, 20 mesi durissimi tra l’8 settembre 1943 e fine aprile-primi maggio 1945: lotta di liberazione dall’oppressione, cruenta guerra politico-militare dalle cifre impressionanti; uno scontro morale fra valori e disvalori. A chi la denigra, cito il professor Alberto Asor Rosa: “Gli italiani ben raramente sono scesi in campo per difendere valori idee principi politici; nel 43-45 lo hanno fatto riuscendo vincitori”. Ancora più potente Giorgio Bocca: “La breve e interessante stagione partigiana è l’unica nella nostra storia in cui gli italiani ebbero veramente la libertà di decidere della loro sorte e in cui superarono i legami del censo, delle etnie per essere totalmente uomini liberi. Fu un’esperienza eccezionale, una bella loro storia, così incredibile e straordinaria da imporci anche oggi rispetto a ricordarla. I 20 mesi della guerra partigiana restano un’eccezione difficilmente ripetibile, un miracolo di cui non ci credevamo capaci, un’italianità eccezionale”. Ed aggiungo io, in essa gli italiani espressero cuore, orgoglio, dignità, spirito di sacrificio, voglia di riscatto. Davanti alla critica che la Resistenza è un movimento minoritario, sosteniamo, la storia insegna, che sono le minoranze attive ed appassionate a trascinare a sé e ad infiammare la maggioranza impaludata nel conformismo e nella rassegnazione. Nel 1944-45 attorno al partigianato militarizzato si strinse, quale indispensabile appoggio, grandissima parte della popolazione, contadini operai borghesi preti, a costituire quella che con magnifica intuizione fu chiamata Resistenza senz’armi perché, come scrive Emilio Franzina, un dissenso diffuso aveva scavato un solco profondo tra popolazione e governo.

Dalla Resistenza origina la nostra Costituzione. A suffragarlo scelgo una citazione del nostro Presidente partigiano Sandro Pertini: “ Dietro ogni articolo della nostra Costituzione stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza”. 45.000 per la precisione, senza contare invalidi mutilati e civili uccisi per avere ospitato un perseguitato; a confermare l’affermazione di Massimo Salvadori: la libertà fu conquistata non regalata. Chiedo particolare attenzione per quanto scrive il giurista Piero Calamandrei: “ La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”. Un richiamo esplicito al celebre Odio l’indifferenza di Antonio Gramsci. Lo scritto di Calamandrei è del 1955. Le sue affermazioni sono tuttora di eccezionale attualità: Papa Francesco ha espresso lo stesso concetto nel discorso di Capodanno. Ed a motivarci a preservare la Carta Costituzionale ascoltiamo le parole di Gustavo Zagrebelsky:“La nostra è una Costituzione di opposizione: opposizione ai prevaricatori, ai disonesti e alle discriminazioni, fatta per difendere i più deboli ed indifesi”.

Mi rivolgo ora in particolare agli studenti. Riparto da Pertini:”I vecchi hanno il dovere di spiegare ai giovani quanto costò la riconquista della libertà perduta”. Su questo tema il pericolo più grave è l’ignoranza: non solo il sonno della ragione genera mostri, ma anche la non conoscenza della storia. Si sta ristampando, pur con critiche spiegazioni, il Mein Kampf di Hitler. Negli anni scorsi c’è stato un Primo Ministro che non ha mai festeggiato il 25 aprile; a Vicenza abbiamo avuto un sindaco sfortunatissimo: ogni 25 aprile era ammalato. L’8 dicembre scorso lungo Strada Priabona si stava commemorando la morte di 4 partigiani. Dietro il corteo impazienti automobilisti strombazzavano il clacson e gridavano di andare altrove a cantare BELLA CIAO. Il giorno dopo sul Giornale di Vicenza appariva un’intervista della senatrice Erika Stefani: “La gente è stanca e disgustata degli ideologismi”. La poverina chiama ideologismo ricordare chi ha dato la vita per la libertà, anche per la sua. A chi dice che i caduti repubblichini e i caduti della Resistenza sono equiparabili, fate vostra la frase di Italo Calvino: Siamo tutti uguali davanti alla morte, ma non lo siamo davanti alla storia. A chi, come qualche giorno fa in una trasmissione televisiva, afferma che ci vuole un altro Mussolini, rispondete che Mussolini è responsabile di un ventennio di nefanda dittatura conclusasi vilmente nell’asservimento al nazismo; nel 1936 aggredì l’inerme Etiopia ricorrendo a gas e a lager; promulgò nel 1938 le ignominiose leggi razziali contro italiani “colpevoli” di essere ebrei; portò il 10 giugno del 1940 l’Italia al disastro della seconda guerra mondiale.

Oggi voi studenti siete più fortunati di noi che ai nostri giorni arrivavamo appena alla prima guerra mondiale. Tenete sempre bene presente che l’aggettivo primo per Resistenza e Costituzione è ANTIFASCISTA, a sottolineare il passaggio da popolo di servi e padroni a comunità di cittadini. Avvicinatevi al tema con gradualità e curiosità. Avete a disposizione film documentari giornali riviste libri, frequentate biblioteche e convegni mirati. Fatevi consigliare dai vostri insegnanti, cominciate a informarvi su testi facilmente fruibili come i primi articoli della Costituzione, le Lettere dei condannati a morte della Resistenza, i 2 messaggi del novembre 1943 del Magnifico Rettore Concetto Marchesi, insigne latinista, agli studenti dell’Università di Padova; leggete libri esemplari per antiretorica come I Piccoli Maestri già citato, L’Agnese va a morire della Viganò, Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, le opere di Beppe Fenoglio. Poi fate tutte le scelte che volete: oggi le pubblicazioni sono innumerevoli.

Finisco consigliando un romanzo di respiro internazionale, scritto da Ernest Hemingway, premio Nobel per la Letteratura. Narra di un giovane democratico americano che va a combattere in Spagna tra il 1936 e il 1939 contro il franchismo e il fascismo. Il testo ha un titolo stupendo: Per chi suona la campana. Hemingway lo desume da una poesia di John Donne, poeta contemporaneo di Shakespeare. — Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso […] Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità. Così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te — cioè per tutti noi.

Tra il 1943-45 la campana per ammazzamenti di partigiani è suonata 2500 volte nel Vicentino: Vicenza, medaglia d’oro per la lotta di Liberazione, con Cuneo, la città più resistenziale d’Italia.

Il 12 gennaio 1945 quella campana è suonata in questo luogo per Dino Carta, ventenne studente antifascista, portiere di calcio del Vicenza, idealista convinto, partigiano della compagnia “Julia” della Brigata “Argiuna”, infiltrato da un anno nella Guardia Nazionale Repubblicana fascista per carpire informazioni importantissime alla causa patriottica: il suo comandante Dino Miotti “Gnao” porterà sempre con sè il dolore di avere perso quel suo ragazzo. Dino Carta sa di correre rischi mortali: viene scoperto e convocato a Villa Girardi detta Villa Triste in via Fratelli Albanese qui a poche centinaia di metri. Dopo un drammatico interrogatorio in cui Dino rifiuta di tradire i suoi compagni, capisce di non aver scampo. Afferra una pistola lasciata apposta dai suoi aguzzini sul tavolo, li minaccia e fugge, ma viene inseguito e assassinato in questo posto. Fu un’autentica sadica esecuzione per evitare il “disturbo” di doverlo torturare barbaramente fino alla fine. Quella pistola non avrebbe protetto nessuno: era priva di percussore. E a proposito di Resistenza incompiuta, definizione cara a Norberto Bobbio, Osvaldo Foggi, colui che secondo la testimonianza di Miotti spara su Dino il colpo finale, verrà processato nel 1946, condannato a morte, pena che diventerà carcere a vita per terminare nel 1954, anno in cui Foggi ebbe amnistia e scarcerazione.

La campana squillata 71 anni fa oggi risuona qui per noi e ci ammonisce a non dimenticare. Nel 1807 Ugo Foscolo scrive l’ode più bella della letteratura italiana: I Sepolcri. Spicca il celebre verso A egregie cose accendono l’animo le urne dei forti. Il poeta fa riferimento alla chiesa di Santa Croce di Firenze, il Pantheon civile d’Italia. Le urne dei forti sono le tombe lì ospitate dei grandissimi italiani quali Michelangelo Galileo Machiavelli Foscolo stesso che col loro esempio rendono noi italiani orgogliosi di esserlo. La tomba di Dino Carta è al Cimitero di Vicenza. Vicino a me una lapide la simboleggia e ne ricorda la morte. La tomba del giovane valoroso ci “accende l’animo” a “cose egregie”: semplicemente ancora una volta a non essere indifferenti e ad esercitare concretamente il nostro diritto-dovere di cittadini, per ricoltivare fiducia nel lavoro nello studio nelle istituzioni. E speranza: Dino è vissuto in un’Italia nettamente peggiore della nostra.

A nome di tutti un saluto e un grazie commosso a Dino Carta, alle donne e agli uomini che hanno combattuto con tanto coraggio.

W la Repubblica, nata il giorno in cui le donne per la prima volta sono andate a votare: compie 70 anni, anch’essa figlia della Resistenza come pubblicamente ebbe ad affermare in primis il Presidente Giuseppe Saragat nel Ventennale del 1965; e oggi più che mai lunga vita al nostro Vangelo laico, la “vecchia” cara Costituzione, che il grande Zagrebelsky chiama la nostra bussola.

E le bussole non vanno manomesse perché segnano sempre con chiarezza la strada da intraprendere.

Roberto Pellizzaro